Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Uccise una coppia a Rolle Papa non esce dal carcere Il Riesame: «Prove certe»
Il giorno prima dell’omicidio aveva minacciato i due anziani
CISON DI VALMARINO Per giustificare la sua presenza, nel rustico di Rolle il giorno prima del brutale omicidio di Loris e Anna Maria Nicolasi, Sergio Papa aveva detto di esserci andato per chiedere alla donna la ricetta delle frittelle.
Quello che non aveva detto era di averlo fatto brandendo un coltello e un’ascia, aggredendo la coppia tanto da indurla a provare a denunciarlo e a raccontare alla figlia e ai vicini della paura provata.
Ed è questo uno dei motivi per i quali, i giudici della Corte di Cassazione hanno respinto il ricorso, presentato dall’avvocato Alessandra Nava, contro la decisione del tribunale del Riesame di Venezia di confermare l’arresto del 36enne di Refrontolo, accusato di aver brutalmente ucciso, il 1 marzo scorso, i due anziani nel giardino della loro casa.
Il retroscena si legge nelle motivazioni dei giudici della Suprema Corte che hanno sottolineato, punto su punto, tutte le incongruenze del racconto di Papa e gli indizi a suo carico. A cominciare proprio dalla storia delle frittelle, giudicata «una spiegazione inverosimile» e smentita dalle vittime «rimaste molto colpite dall’episodio poiché il Papa aveva con sé un coltello ed un’ascia tanto che nel pomeriggio (i due) avevano cercato di sporgere denuncia ai Carabinieri, dopo avere avvisato vicini di casa e figlia».
A vederlo girare nei dintorni del rustico, non erano stati solo loro, ma altre persone. Tra loro un potatore che, la mattina del delitto, aveva visto un uomo allontanarsi lungo il pendio cercando di non farsi vedere, con indosso gli stessi abiti che quel giorno Papa indossava. Mentre un cacciatore aveva visto una vecchia Fiat Panda parcheggiata nella zona. La stessa auto sulla quale era stato notato un uomo che cercava di nascondersi, ritrovata poche ore dopo incendiata a Miane. E alla quale è stato lo stesso Papa a collegarsi quando, parlando con i propri genitori che ignari erano già intercettati dai carabinieri, ammetteva «di averne avuto il possesso ma sosteneva di averla trovata e di averla poi bruciata dopo che aveva capito che essa era stata usata dagli assassini dei Nicolasi». A collegare Papa al delitto, ci sono poi l’odore di benzina con la quale erano intrisi i suoi abitati, circostanza ricordata ancora dai genitori.
Benzina usata per cercare di incendiare il corpo di Nicolasi dopo il delitto. E i graffi che Papa aveva sul volto, evidenti segni di una lotta.
Lui li aveva spiegati con una reazione violenta del Nicolasi il giorno precedente il delitto. «Ma la vittima – scrivono i giudici -, la quale pure aveva narrato con ricchezza di particolari quell’incontro, non aveva detto a nessuno che si fosse passati alle vie di fatto, per cui era più ragionevole ipotizzare che i graffi fossero il risultato di una lotta del 1 marzo, giorno dell’omicidio».
A puntare contro Papa su questo punto, c’è anche una traccia del suo dna, repertata sotto le unghie di Anna Maria Niola la moglie del Nicolasi con la quale il 36enne non ha mai detto di aver avuto uno scontro fisico. Un ulteriore indizio, questo, che non era a disposizione né dei giudici del Riesame né della Cassazione in quanto arrivato in seguito. Sarebbe stato adeguatamente vagliato anche il movente rilevabile dal disordine della casa delle vittime a testimoniare la ricerca di qualcosa da rubare per consentire al Papa, tossicodipendente, di procurarsi la droga.
Odore di benzina Papa puzzava di benzina. Avrebbe infatti cercato di bruciare i cadaveri