Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Il «vecchio», il palo e l’autista «Il colpo al Ducale in 28 secondi»
I ladri studiavano il furto da novembre. Il gip: neanche i fallimenti li hanno fermati
VENEZIA Il «vecchio», il «palo», «alto 1», alto 2», «recupero» e l’«autista». E’ partita così l’inchiesta della squadra mobile di Venezia, guidata dal dirigente Stefano Signoretti e coordinata dal pm Raffaele Incardona: i sei membri della banda non avevano un nome, ma c’erano solo le immagini di quel «colpo da maestri» che in soli 28 secondi avevano rubato due orecchini e una spilla (valore d’acquisto 3 milioni e mezzo di dollari, valore dell’assicurazione 8 milioni) a Palazzo Ducale, dove si teneva la mostra dei tesori del Maharaja. Nell’informativa della squadra mobile si dice infatti che Vinko Tomic, il 60enne (e per questo «vecchio») croato che è ritenuto il capo della banda, inizia a forzare la teca 154 alle 10.03.28 e alle 10.03.56 si allontana dalla sala dello Scrutinio. «Palo», cioè Dragan Mladenovic, 54enne serbo, lo segue 26 secondi dopo, alle 10.04.22 e lì inizia la fuga, che in realtà passa per una salita al terzo piano, in quella Sala delle armi dove li aspetta il terzo complice «recupero» (il cui nome è riservato visto che è ancora ricercato), colui al quale vengono consegnati i gioielli. I tre poi scendono ed escono dal Ducale, dirigendosi verso Piazzale Roma: Tomic e Mladenovic (che nel frattempo si è cambiato e si è messo un giubbotto rosso) arrivano lì e salgono a bordo della macchina guidata dal 48enne croato Zelimir Grbavec, che li riporta a casa, così come la mattina li aveva portati a Venezia dall’hotel Base di Noventa di Piave in cui avevano dormito. «Recupero» invece torna da solo e pare che abbia preso il treno.
Insieme a Tomic, Mladenovic e Grbavec, la polizia ha arrestato anche il 43enne Zvonko Grgic e il 48enne Vladimir Durkin, entrambi croati. Secondo la ricostruzione sono i due complici che, nei tentativi di furto del 30 dicembre e del 2 gennaio, si piazzano vicino alla teca per cercare di nascondere lo scassinatore, che in tutti e tre i casi è Tomic: è evidente che lui – affiliato alle «Pink Panthers», un sodalizio composto principalmente da ex reduci di guerra poi riconvertiti a Lupin con una predilezione soprattutto per i gioielli – è l’uomo più esperto e ci «mette la faccia» come si dice, anche perché è a volto scoperto. E’ lo stesso Tomic che guida il sopralluogo avvenuto insieme a Grgic e Durkin anche il 28 dicembre precedente, ma dopo che la polizia è riuscita a scoprire i cellulari «sospetti» che in quei giorni attivavano nella cella di Palazzo Ducale, è stato verificato che da novembre erano comparsi in Italia, forse già allora per studiare il «colpo milionario».
Il 30 dicembre, però, la teca non si apre. Il 2 gennaio una signora avvisa un vigilante che ci sono quei tre signori fissi davanti alla teca che la toccano, ma nessuno si immagina che possano essere dei ladri. Il sistema di allarme scatta il 3, ma lo stesso gip David Calabria, nella sua ordinanza, sottolinea come il fatto che non ci fossero allarmi acustici o visivi in sala, ma solo nella centrale operativa della vigilanza, consente ai banditi quel vantaggio di alcuni secondi fondamentali per la fuga. Il gip sottolinea che è stata un’indagine fatta con «scrupolo e professionalità esemplari», abbinando i metodi tradizionali e le innovazioni tecnologiche, come il sistema automatico di comparazione e riconoscimento delle immagini e perfino delle altezze, con un’incursione anche sui social network usati dai banditi nelle vesti di normali cittadini.
Secondo il giudice i sei ladri meritano il carcere per il pericolo di reiterazione del reato, viste le «modalità esecutive sintomatiche di professionalità». C’è stata una ferma determinazione, scrive il giudice, che non si è fermata nemmeno di fronte ai due fallimenti dei giorni precedenti, laddove anche soggetti di spiccate capacità operative avrebbero desistito. In più Tomic e Mladenovic hanno un profilo criminale fatto di numerosi precedenti e dell’uso ripetuto di documenti falsi.