Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
«Quel serbatoio può essere un incubatore: a Verona non lo usiamo»
Il professor Faggian: «Noi abbiamo altri macchinari»
VERONA Il professor Giuseppe Faggian, primario della Cardiochirurgia dell’Azienda ospedaliera di Verona, spiega che nel suo reparto non è stata riscontrata l’infezione da batterio Chimaera, perchè è in uso un altro macchinario. «La statistica parla di un paziente infettato ogni 5mila operati di valvola cardiaca e di uno ogni 100mila soggetti con bypass», dice Faggian.
Professor Giuseppe Faggian, la Cardiochirurgia dell’Azienda ospedalierouniversitaria di Verona, reparto che lei dirige, è la sola in Veneto a non aver acquistato la tecnologia della LivaNova Deutschland GmbH.
E infatti non avete registrato alcun contagio da Mycobacterium Chimaera. Lungimiranza?
«Abbiamo scelto il modello della ditta giapponese Terumo perché innovativo: consente il controllo automatico dei parametri del paziente in circolazione extracorporea. A differenza del macchinario della LivaNova, il nostro non ha il sistema di raffreddamento del sangue tramite serbatoio d’acqua, nel quale si annida il batterio. Noi ci mettiamo del ghiaccio dentro».
A cosa servono queste apparecchiature?
«A mantenere il sangue alla temperatura fisiologica, oppure a riscaldarlo o a raffreddarlo nelle operazioni a cuore aperto, durante le quali il paziente viene mantenuto in vita con la circolazione extracorporea. Il cuore è fermo, quindi il macchinario pompa il sangue, lo ossigena e lo reimmette in circolo».
Come si può infettare il paziente sul letto operatorio?
«Il sistema non è a contatto diretto con il sangue, che passa in un circuito chiuso attraverso una serpentina abilitata a riscaldarlo o raffreddarlo. C’è però un serbatoio d’acqua, che a contatto col calore forma il vapore, a sua volta disperso nell’aria dalla ventola di raffreddamento. Quest’ultima crea un effetto aerosol, cioè diffonde goccioline nell’aria, attraverso le quali il Chimaera arriva al campo operatorio».
Che tipo di batterio è?
«In genere innocuo, ma quando entra a contatto con il cuore aperto si deposita sulle valvole cardiache e alla lunga può scatenare un’infezione sistemica,capace di attaccare tutti gli organi».
Che livello di rischio c’è?
«Se ne rileva un caso ogni 100mila pazienti ai quali viene posizionato il bypass e un caso ogni 5mila soggetti operati per la sostituzione della valvola. Sono maggiormente a rischio gli anziani e le persone con un quadro clinico particolarmente debilitato».
Quanti interventi a cuore aperto si eseguono in Veneto?
«Circa 4mila l’anno, 1500 dei quali vengono effettuati dalla nostra équipe».
Quanto costano i macchinari per il riscaldamento/ raffreddamento del sangu?e?
«Tra 250mila e 300mila euro».
Vengono sanificati?
«Sì, dopo ogni intervento, con processi chimici».
E allora perchè possono diventare focolai d’infezione?
«Purtroppo le infezioni ospedaliere fanno parte della casistica. Ma alcune reagiscono bene agli antibiotici, e ne vediamo anche noi. Il Chimaera no. Altrettanto pericolosa per il paziente operato è la legionella, può essere letale».
Dopo ogni intervento la sala operatoria si sterilizza?
«Sì. Le nostre sono inoltre dotate di ricambio d’aria interno con pressione positiva. Cioè l’aria viene schiacciata verso il basso, sul pavimento, e poi espulsa al di fuori. In sala operatoria non entra nulla, nemmeno l’aria. E infatti il ministero della Salute ci ha assegnato il bollino d’eccellenza per la mortalità più bassa del Veneto: l’indice della Cardiochirurgia di Verona è tre volte inferiore a quello delle altre».