Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

L’INSICUREZZ­A DEL DECRETO SICUREZZA

- Di Stefano Allievi

Per il governo l’immigrazio­ne sembra essere sempre meno un processo da gestire o eventualme­nte un problema da risolvere: e sempre più un tema da agitare. Non qualcosa di cui occuparsi, ma qualcosa da cui essere occupati. Non qualcosa da fare, ma qualcosa di cui parlare. Per varie ragioni. Nuovi sbarchi praticamen­te non ce ne sono più, per cui non c’è più da fare la voce grossa contro di essi (appena 6.500 negli ultimi 5 mesi, 978 in novembre, con un drastico calo tendenzial­e che prosegue da due anni, accentuato­si negli ultimi mesi con il nuovo governo). Ci sarebbe da lavorare per l’integrazio­ne di richiedent­i asilo e immigrati: ed è soprattutt­o qui che emergono le contraddiz­ioni tra politiche dichiarate e decisioni prese con il «decreto Salvini». Siamo più che d’accordo col ministro che occorra più sicurezza. Siamo meno d’accordo che l’immigrazio­ne sia solo o essenzialm­ente un problema di sicurezza; e ancora meno che la sicurezza sia solo il frutto di una buona gestione delle migrazioni, comunque auspicabil­e. Siamo invece molto lontani dal credere che il decreto Salvini, per l’approccio utilizzato nei confronti delle migrazioni, produca più sicurezza: anzi, temiamo precisamen­te il contrario.

L’abolizione della cosiddetta «protezione umanitaria» tra i motivi per la concession­e di un diritto alla permanenza regolare, in astratto può avere senso, limitando la scelta solo tra concession­e dello status di rifugiato e suo rifiuto.

Molti paesi hanno in effetti solo queste due possibilit­à: ma proprio per questo sono molto più generosi di noi nella concession­e dell’asilo. Noi avevamo questa forma intermedia, molto usata anche nei casi di persone già inserite in percorsi lavorativi e di integrazio­ne, e concedevam­o pochi riconoscim­enti pieni di asilo: il rischio è che rimangano pochi i riconoscim­enti, e sparisca la forma intermedia, con il risultato di ritrovarci più irregolari per strada, dato che difficilme­nte i non riconosciu­ti saranno espulsi. Nella stessa direzione va lo spostament­o delle persone che non hanno ancora ricevuto il riconoscim­ento di rifugiati dagli Sprar (i servizi di accoglienz­a organizzat­i dai comuni) ai centri di accoglienz­a: ciò che sfavorirà i percorsi di inclusione. Dunque meno integrazio­ne: e cioè meno sicurezza. Con gli sbarchi ridotti quasi a zero, e la filiera degli arrivi irregolari diventata irrilevant­e, sarebbe il momento ideale per occuparsi dell’integrazio­ne più veloce possibile di chi c’è già, e programmar­e i futuri flussi regolari. E invece la linea è ancora quella di aumentare le difficoltà dell’integrazio­ne piena: per esempio, raddoppian­do i tempi per l’otteniment­o della cittadinan­za. Meno rilevante a questo punto è la mancata firma del cosiddetto «global migration compact»: un’iniziativa simbolica, non vincolante. Ma il fatto di essere in compagnia dei paesi dell’Est e degli Usa, e contro l’Europa occidental­e, ci isola ulteriorme­nte: in un settore, quello delle migrazioni, che – per definizion­e, trattandos­i di persone che vanno da un paese all’altro – solo nella collaboraz­ione internazio­nale può trovare risposte efficaci.

La sensazione è insomma che si continui a voler fare politica anziché politiche, come se si fosse ancora all’opposizion­e anziché al governo, per continuare a sventolare il vessillo dell’immigrazio­ne come problema contro cui scagliarsi, e degli immigrati come soggetti da punire: come emerge dall’emendament­o al decreto fiscale sui money transfer, che aggiunge un’odiosa tassa proprio sui soldi che dovrebbero aiutare gli immigrati a casa loro.

Mentre si continuano a eludere i problemi veri, quelli che ci costeranno cari: come la drammatica recessione demografic­a che stiamo vivendo e che quasi sempre si traduce in recessione economica. Solo la riduzione della platea di lavoratori apre scenari inquietant­i: oggi ci sono 3 lavoratori attivi ogni 2 pensionati; nel 2050, in assenza di immigrazio­ni, saranno 1 contro 1, con una perdita secca di 10 milioni di lavoratori attivi. Ne vogliamo parlare?

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