Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Dalla cellula di Rialto fino a Meriem
Già condannati i quattro aspiranti kamikaze. Tre foreign fighter ricercati
VENEZIA Non è la prima volta che si parla di terrorismo in Veneto. Nell’aprile del 2017 sono stati arrestati quattro kosovari che stavano progettando un attentato sul ponte di Rialto, a Venezia. Inoltre, sono tre i foreign fighter partiti dal Veneto e tuttora ricercati. Tra loro anche la padovana Meriem Rehaily.
VENEZIA È la prima volta che la propaganda vicina allo Stato Islamico diffonde un fotomontaggio che appare come una minaccia diretta a Venezia. Finora erano finite nel mirino - con modalità analoghe - Roma, Parigi, Washington, ma mai una città del Veneto.
Eppure in passato c’era già stato chi aveva sognato di issare la bandiera dell’Isis sopra piazza San Marco. Nel marzo del 2017 era scattato il blitz coordinato dalla procura Antiterrorismo di Venezia che ha portato all’arresto di quattro jihadisti intenzionati a portare a compimento un attentato nel cuore della città. In manette erano finiti gli appartenenti a una cellula kossovara composta da Fisnik Bekaj, 24 anni, Dake Haziraj di 25 e Arjan Babaj, 27 anni, considerato il leader del gruppo, oltre a un loro complice che all’epoca aveva ancora 17 anni. Tutti lavoravano come camerieri nei ristoranti di Venezia, anche se a unirli era soprattutto l’odio per gli infedeli. Dalle intercettazioni è emerso il piano di far esplodere una bomba a Rialto oppure di colpire in piazza San Marco, durante il Carnevale, accoltellando i turisti. «La miglior bevanda è il sangue dei kafiri (i miscredenti, ndr)» dicevano. Oppure: «Per i musulmani è un obbligo distruggere le chiese e trasformarle in moschee».
I quattro si sono difesi sostenendo di non aver mai voluto realmente mettere a segno un attentato, ma i giudici non ci hanno creduto. Per questo, ad aprile Babaj è stato condannato a cinque anni di prigione; Haziraj e Bekaj a quattro; mentre il diciassettenne sta scontando quattro anni e otto mesi in un carcere minorile.
Se per il fallito attentato a Venezia erano scattate le manette, sono invece almeno altre tre le persone ricercate per aver aderito all’Isis fino al punto di lasciare il Veneto, dove vivevano, per raggiungere la Siria. In cima alla lista, c’è Meriem Rehaily, la marocchina che viveva ad Arzergrande (Padova) e che nell’estate del 2015 ha superato il confine con la Turchia. Le ultime notizie la danno in un campo di prigionia in Siria, da dove ha lanciato un appello chiedendo di poter tornare in Italia. Lo stesso ha fatto (anche dalle colonne del Corriere del Veneto) la trevigiana Sonia Kedhiri, fuggita nell’agosto del 2014 e oggi bloccata in una struttura gestita dalle milizie curde. Infine, un mandato di cattura internazionale pende sulla testa del macedone Munifer Karamaleski, che fino al dicembre del 2013 abitava con la moglie e i figli nel Bellunese. Di lui non ci sono notizie da molto tempo. Potrebbe essere morto in battaglia oppure continuare a occuparsi del ghanima, il deposito del bottino di guerra dell’Isis, come fece dopo che l’uccisione di Ismar Mesinovic, l’amico assieme al quale aveva lasciato le Dolomiti venete per raggiungere Raqqa.
Caccia ai terroristi L’Antiterrorismo cerca i combattenti veneti: Meriem Rehaily, Sonia Kedhiri e Karamaleski