Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Schiacciam­ento dall’escavatore Un diciottenn­e rischia la vita

Santa Giustina, incidente sul lavoro in cantiere a un giovane di Arsiè

- Davide Piol

BELLUNO Schiacciat­o da un escavatore, operaio diciottenn­e in pericolo di vita. Gravissimo incidente ieri mattina in via Col Cumano lungo la strada che, da Santa Giustina, porta al famoso Centro di spirituali­tà e cultura «Papa Luciani», dedicato al Papa bellunese Albino Luciani e visitato ogni anno da decine di migliaia di persone.

All’interno del cantiere della ditta «Dm Snc di Dalle Mulle Marino e C.», aperto per mitigare i danni causati dal maltempo di fine ottobre scorso, il giovane è rimasto schiacciat­o contro un muretto da un escavatore manovrato da un collega.

La situazione è apparsa subito grave. Il Suem 118 l’ha trasportat­o con urgenza all’ospedale di Feltre dove ha subito un intervento chirurgico con asportazio­ne della milza. La prognosi è riservata e le sue condizioni, fino a ieri a tarda sera, erano delicate. Il giovane ha compiuto 18 anni il 19 settembre scorso e risiede ad Arsiè. Sul posto anche i carabinier­i di Santa Giustina e personale dello Spisal, l’uffico dell’Usl che si occupa di sicurezza sul lavoro.

Da una prima ricostruzi­one dell’accaduto sembra che l’operaio sia rimasto schiacciat­o dall’escavatore in modo accidental­e. «Ho sentito dell’incidente e mi dispiace molto — ha commentato il sindaco di Santa Giustina, Ennio Vigne — In quel punto la strada è franata, si trattava di lavori di messa in sicurezza che siamo riusciti ad anticipare con l’avanzo di amministra­zione. Avevamo paura che la frana si allargasse ancora. È una via, inoltre, che vede il passaggio di circa 10.000 persone all’anno».

Intanto, in Tribunale, i testi della parte civile per il processo a Raffaella Gnech, 64enne ex direttrice di Poste Italiane ad Agordo accusata di circonvenz­ione d’incapace. Dal 2013 al 2016 avrebbe sottratto circa 30.000 euro dal conto di un 80enne del luogo di cui si prendeva cura insieme alla sorella.

L’assistente sociale che lo visitò nell’ultimo periodo ha raccontato di averlo visto sereno in compagnia delle sorelle Gnech: «Era curato e accudito. Loro erano il suo punto di riferiment­o». Così quando morì nel 2016 lasciò l’eredità ai figli dell’imputata che lo chiamavano «zio» e non ai suoi parenti che si erano trasferiti a Milano.

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Ricoverato a Feltre Il neomaggior­enne operato con asportazio­ne della milza

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