Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Al Museo Fortuny le rovine del futuro Da Piranesi a Guardi
Il contemporaneo è un paesaggio di frammenti. Ma quanti di quei frammenti siano già rovine, è difficile dirlo. «La nostra civiltà riuscirà a produrne? Oppure lascerà solo macerie?», si chiede Daniela Ferretti. E’ lei l’artefice, assieme a Dimitri Ozerkov e a Dario Dalla Lana, della mostra che domani apre al Museo Fortuny di Venezia (fino al 24 marzo) e che non a caso si chiama Futuruins, le rovine del futuro. La casa-museo diventa una folla di brandelli d’arte, tracce di qualcosa che non c’è più o di un futuro anteriore che ci è impraticabile. Una grande installazione di Anne e Patrick Poirier accoglie i visitatori, una visione archeologica immersa nell’acqua, quasi onirica. Non sono tempi di euforia, stiamo uscendo da una colossale crisi aspettando la prossima, lugubri ombre sgusciano da dove le avevamo interdette, la verità ci ha lasciato. Eppure nelle rovine non c’è anche il sentore di una rinascita?Al Fortuny 250 opere di ogni epoca e di ogni fattura ci spingono dentro questa dimensione in cui il tempo e lo spazio si confondono, come solo le rovine sanno fare. Un’operazione curatoriale sofisticata, gestita in collaborazione con il Museo Ermitage. Con un piccolo inconveniente, che non toglie fascino alla mostra, ma la rende temporaneamente afona: le 80 opere da San Pietroburgo non sono mai arrivate, le casse dovrebbero sbarcare oggi e saranno montate a mostra aperta. Circostanza inusuale: che imbarazzi gli organizzatori lo si è capito in conferenza stampa, dove nessuno l’ha citata. Cosa è successo? Maurizio Cecconi, direttore di Ermitage Italia, allarga le braccia. Mikhail Piotrovsky, a capo del museo russo, parla di problemi «frutto delle sanzioni». Gabriella Belli, alla guida dei Musei Civici, racconta di «ostacoli burocratici da parte delle autorità russe». E così si resta sospesi tra vuoti e pieni, come i casolari abbandonati nella pianura spettrale delle foto di Paola Di Pietri. E i luoghi mortiferi su cui un’umida vegetazione ha preso il controllo di Gioberto Noro. Le vedute di Piranesi sui Forti imperiali ei Capricci di Guardi, Arquata al Tronto distrutta dal terremoto (Olivo Barbieri) o le mille immagini di Ercolano. Passato e presente inciampano e in quell’inciampo c’è la nostra ossessione per l’estetica delle rovine. Al primo piano due enormi opere, sui lati opposti del salone: il collage della distruzione di Thomas Hirschhorn e la Costruzione del Tempio di Salomone di Emile Bernard.