Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
I RITI CHE FRENANO LE OPERE
Se il confronto con l’Unione europea sulla manovra di bilancio 2019 si concluderà senza l’apertura di una procedura di infrazione contro l’Italia, potremmo dire di aver solo assistito ad una puntata del «rito di passaggio» che dovrebbe prima o poi trasformare forze di spensierata opposizione in forze responsabili del governo del Paese.
Un rito complicato e costoso, per il Paese. Per i danni, da aumento dei tassi di interesse provocato dagli incauti annunci governativi, tra l’altro, con effetti depressivi sulla domanda interna. Per le false illusioni, alimentate tra i più deboli di vedersi distribuito — col reddito di cittadinanza e le pensioni anticipate - un reddito che nessuno ha prodotto; in più sacrificandovi i margini di flessibilità altrimenti utilizzabili per finanziare gli investimenti utili al rilancio della crescita. E per le occasioni perdute, di un più utile coinvolgimento dell’Unione europea nello stesso rilancio. Che diverranno ancor più evidenti nell’ulteriore puntata, in corso, del «rito di passaggio»: quello che riguarda le cosiddette grandi opere, quelle «contro» le quali si è disgraziatamente costruito il consenso del Movimento Cinque Stelle nel nostro Paese.
Il fatto, incontrovertibile, è che quasi tutte le opere oggi sottoposte a una analisi costi -benefici di dubbia fondatezza e di certa non scientificità sono di «comune interesse europeo».
Elo sono perché con decisione presa con l’accordo di tutti gli stati membri nel 1996 e confermata nel 2004 e 2013, costituiscono tessere di un solo corridoio che, a sua volta, è parte della stessa, sola e unica, rete europea, la TEN-T. che o si completa, tutta, o non serve. La TAV Torino Lione non è un progetto che riguarda il Piemonte o la regione Rodano-Alpi, ma, assieme alle tratte Vicenza-Padova, Venezia-Trieste e Trieste-Divaccia, che rischiano di essere stralciate senza neanche l’«onore» della benefici costi, riguardano allo stesso titolo tutta l’Italia, tutta la Francia, ma anche la Slovenia, l’Ungheria, la Spagna etc. e l’intera Europa. Insomma si può ancora discutere del «come» realizzarle, ma non del «se». Lo stesso vale del Tunnel del Brennero e dell’intero corridoio dal confine austriaco a Verona, Bologna e giù fino a Palermo. O del «Terzo valico dei Giovi» e dell’intero corridoio da Genova al confine svizzero. O dei porti di Ravenna, Venezia e Trieste, dei loro sviluppi e dei loro collegamenti con il valico di Tarvisio. Su tutti i lavori di ammodernamento lungo questi corridoi se, invece di dar voce a contrarietà locali - da ascoltare, mitigare, compensare, ma niente di più—, decidessimo di rivendicarne il «comune interesse europeo» potremmo pretendere dall’Unione cofinanziamenti pesanti, questi sì da considerare al di fuori dei vincoli di deficit e di debito. Avremmo con la benedizione dell’Unione Europea quella accelerazione della domanda di investimenti utile a sostenere l’aumento di Pil sperato e allo stesso tempo le infrastrutture capaci di aumentare il potenziale produttivo del Paese, e, quindi, l’occupazione della quale abbiamo il più grande bisogno. Riuscirà il governo legastellato, superato il rito di passaggio, a raddrizzare in questo modo una strategia di sviluppo che la sua gestione della sessione di bilancio ha fino ad ora reso compromesso ?