Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
I sinti lasciano il campo, le ruspe lo demoliscono
Mestre, Cacciari tiepido: «Se va bene a loro...» La Lega: «Pulizia»
MESTRE Cinque casette di prefabbricato rosa abbattute e a gennaio ne verranno demolite altre cinque. Ieri mattina, alla presenza di tre assessori della giunta di centro destra di Luigi Brugnaro e sotto l’occhio vigile dei carabinieri, è iniziato lo smantellamento del villaggi sinti di via del Granoturco a Mestre. Obiettivo: raderlo al suolo. Si tratta del campo di 38 microabitazioni costruito dall’ex sindaco Massimo Cacciari e contrastato dal centro destra, che oggi governa la città. Le demolizioni non sono solo un cambio di rotta politica: i sinti veneziani non vogliono più viverci e già quasi un centinaio di persone dei 150 che traslocarono nel villaggio nel 2009 se ne sono già andati via.
MESTRE Si sono accartocciate sotto la benna della ruspa in pochi minuti e ora delle cinque casette di prefabbricato rosa all’ingresso del villaggio sinti di Mestre non restano che detriti. Ed è solo l’inizio: a gennaio la stessa sorte toccherà ad altre quattro case e, nei prossimi mesi, seguiranno nuovi abbattimenti. Obiettivo: radere al suolo tutti i trentotto prefabbricati di via del Granoturco. «Non appena si svuota un alloggio, lo demoliamo», dice convinto la vicesindaco di Venezia Luciana Colle, quota Lega.
Quello dell’amministrazione del sindaco Luigi Brugnaro, un «civico» di centro destra, non è un colpo di mano, ma il primo intervento d’Italia di chiusura programmata di un campo sinti, costruito dallo stesso Comune (allora di centro sinistra) dieci anni fa. I suoi abitanti non sono spostati con forza, come si vede di solito negli sgomberi dei campi nomadi, tutt’altro: la comunità sinti veneziana non vede l’ora di traslocare. E molti lo hanno già fatto. Nel 2009, anno di apertura del villaggio, erano 150 tra adulti e bambini. Ora sono, sì e no, una sessantina, 12 nuclei familiari quando, all’inizio, erano 38. I bimbi del 2009 sono cresciuti, hanno finito (quasi tutti) la scuola dell’obbligo e di restare nelle casette, lontano dal centro abitato, non hanno più voglia. La vita, semi-nomade, che tanto hanno difeso i loro nonni (negli anni Duemila il Comune propose a tutti di spostarsi da roulotte e camper in case pubbliche ma solo 7 famiglie accettarono) a loro non interessa più e tanti hanno già fatto le valigie e se ne sono andati dal villaggio.
Chi è rimasto in via del Granoturco, scalpita: «Mi vergogno di vivere qui, lavoro e i miei amici abitano in case normali, non voglio più stare in un prefabbricato umido, stipati in sei in pochi metri quadrati», si sfoga un giovane mentre, a debita distanza, osserva le ruspe all’opera alla presenza di tre assessori, operatori sociali e dei carabinieri. «Speriamo che ci aiutino – aggiunge una ragazza – ho una figlia di sei mesi: non voglio crescerla qui». Si accoda il marito, «di notte entra brutta gente, abbiamo paura».
Ieri mattina, ruspe e operai sono arrivati presto in via del Granoturco, l’area dove, nel 2009, è stato ultimato il villaggio per la comunità sinti veneziana, 38 famiglie che si sono insediate in città nel secondo dopoguerra e che dalla metà degli anni Settanta vivevano in un terreno della vicina via Vallenari, nel degrado. La realizzazione del nuovo campo scatenò accese proteste dei residenti, polemiche e ricorsi al Tar. Persino l’ex Provincia, guidata allora da Francesca Zaccariotto, ora assessore comunale, tentò di bloccarne l’apertura. A distanza degli anni le polemiche non si sono spente. Anzi, quando la giunta ha deciso di radere al suolo le casette i mal di pancia sono tornati a galla, sotto forma di recriminazioni. «Abbiamo sempre detto che il campo non era la strada giusta», dice Sergio Memo, ex leader del Comitato No campo sinti.
E se l’assessore al Sociale Simone Venturini e Colle si
Boraso Oggi constatiamo che questo progetto è stato fallimentare
sottraggono alla bagarre politica («Oggi è il giorno della pulizia – dicono – temevamo che, con la chiusura dei campi nomadi in centro Italia, alcuni venissero qua: abbiamo per questo accelerato l’avvio delle demolizioni»), Renato Boraso, che in passato sostenne i No campo e ora è assessore al Patrimonio, è invece tranchant: «Oggi constatiamo che questo progetto è stato fallimentare». Ribatte Gianfranco Bettin, presidente della Municipalità di Marghera ed ex prosindaco di Mestre quando il Comune decise, negli anni Novanta, di realizzare il villaggio: «È inutile polemizzare, le casette sono state progettate perché Regione di centro destra e Comune avevano sottoscritto un accordo per realizzare un nuovo quartiere dov’era il vecchio campo». Inoltre, non assisteremmo ad alcun fallimento: «Se tutti vogliono andarsene significa che il lavoro sociale fatto ha funzionato», precisa.
Sorpreso dalla notizia delle demolizioni, l’ex sindaco filosofo Massimo Cacciari, che costruì il villaggio e che, per bypassare le proteste, fece traslocare 150 persone in una fredda nottata di fine novembre, scortate dai vigili. «Se non ci vivevano più, è meglio così, evidentemente hanno trovato soluzioni più adatte dove vivere». Poche parole. E si volta pagina.
Bettin Se tutti vogliono andarsene significa che il lavoro sociale ha funzionato