Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Comuni, fallita una fusione su due
La promessa di «meno tasse e più servizi» non basta: pesano campanilismi e spinte identitarie
VENEZIA La promessa di meno tasse, più servizi, meno burocrazia e più risorse non ha sortito gli effetti sperati: delle dieci fusioni per cui si è votato domenica in 26 Comuni, solo 5 sono andate in porto, ottenendo al referendum il via libera dei cittadini. «Alcuni sindaci hanno sbagliato campagna» dice il vicepresidente della Regione, Gianluca Forcolin.
Essendo il risultato un pareggio, si può vedere il bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno, a seconda delle convinzioni e delle convenienze. Ma non c’è dubbio che per chi crede nella razionalizzazione amministrativa derivante dal ridisegno istituzionale del Veneto (specie ai tempi delle casse esangui), i referendum di domenica siano stati una delusione.
Andavano al voto 26 Comuni e da quel voto sarebbero dovuti nascere 10 nuovi municipi; l’operazione è riuscita per 5 soltanto. Borgo Val Belluna, nato dalla fusione tra Mel, Lentiai e Trichiana nel Bellunese (il risultato di Mel era decisivo perché senza di esso Lentiai e Trichiana non avrebbero avuto l’indispensabile continuità territoriale; c’è stata una piccola polemica per via dell’intestazione sbagliata delle schede - «Provincia di Vicenza» anziché «Provincia di Belluno» - che però non inficia l’esito finale); Pieve del Grappa, nato dalla fusione tra Crespano e Paderno del Grappa, nel Trevigiano (è la prima fusione ad andare in porto nella Marca dopo i fallimenti di Lia Piave e Terralta Veneta); Valbrenta, nel Vicentino, per cui hanno votato i cittadini di Cismon del Grappa, Valstagna, San Nazario, Campolongo sul Brenta e Solagna (Valstagna e San Nazario ci lavoravano da dieci anni, a Campolongo il sì è passato per 3 voti soltanto mentre a Solagna ha vinto il no, sicché la parola passa ora al consiglio regionale che probabilmente consentirà al Comune di sfilarsi); e ancora, nel Vicentino, Lusiana Conco, sorto dalla fusione Ça va
sans dire tra Lusiana e Conco (in quest’ultimo Comune il sì ha vinto per 12 voti); e, sempre nel Vicentino, Colceresa, nata da Mason e Molvena, riusciti là dove fallirono nel
1980.
Sono invece naufragati i progetti di fusione a Terre Conselvane (fusione tra Cartura, Conselve e Terassa Padovana, il no ha stravinto con l’80%) e Fortezza d’Adige (a Castelbaldo e Masi, dove si lavorava alla fusione dal 2015, lo strappo si è consumato sulla gestione dell’asilo parrocchiale) nel Padovano; a Frassinelle Polesella (Polesella ha detto sì ma Frassinelle ha rifiutato il matrimonio) nel Rodigino; a Colbregonza (Carrè e Chiuppano) e Pieve dei Berici (Castegnero e Nanto hanno detto no, vanificando la valanga di sì di Longare, oltre il 77%) nel Vicentino.
Riassumendo, il totale dei Comuni veneti scende da 571 a 562 (563 se Solagna non aderirà a Valbrenta). Per tutti, in ogni caso, l’affluenza è stata attorno al 40%, il che significa bassa anche se non c’era il quorum perché i referendum in questione hanno solo valore consultivo (l’ultima parola tocca alla Regione, che però non va mai contro la volontà popolare). Altro dato emerso dalle prime analisi post voto: i giovani sono tra i più favorevoli alle fusioni, di cui colgono le opportunità in termini di efficientamento della macchina amministrativa, mentre gli anziani sono i più contrari, perché maggiormente ancorati all’identità delle rispettive comunità. Non manca, poi, la contrapposizione politica, al di fuori delle ragioni di merito, che in molti casi porta le opposizioni in consiglio comunale a schierarsi contro il progetto di fusione nell’unico tentativo di sgambettare il sindaco di turno.
Tra coloro che guardano al bicchiere mezzo pieno c’è il vice governatore con delega agli Enti locali Gianluca Forcolin:
Forcolin Alcuni sindaci hanno sbagliato la campagna, in futuro anche i Comuni dovranno pagare i referendum
«Rispetto alle tornate precedenti cresce l’affluenza e la consapevolezza nei cittadini circa le opportunità che possono derivare dalle fusioni. In alcune realtà hanno prevalso i no ma credo che ciò sia dovuto ad errori nell’impostazione delle campagne referendarie da parte dei sindaci, che non sono riusciti a comunicare adeguatamente i vantaggi in ballo. Forse c’è troppa leggerezza e anche per questo stiamo modificando la legge: vogliamo che i Comuni compartecipino economicamente all’organizzazione delle consultazioni, che oggi pesano interamente sulla Regione».
Quali sono i vantaggi di cui parla Forcolin? La Fondazione Think Tank li stima in 5,7 milioni in dieci anni, come soli contributi statali, a cui si sommeranno i contributi triennali regionali e altre forme di premialità. «Non solo gli incentivi statali e regionali – afferma Antonio Ferrarelli, presidente della Fondazione – ma anche le economie che verranno a crearsi potranno rilanciare questi territori. Ne gioveranno cittadini e imprese, che potranno beneficiare di maggiori investimenti e meno tasse». La presidente di Anci, Maria Rosa Pavanello, dà il benvenuto ai «nuovi arrivati» e ribadisce: «Molti Comuni di piccola e media grandezza sono in difficoltà perché hanno scarse risorse e poco personale, così che l’amministrazione diventa la gestione dell’ordinario con difficoltà ad investire secondo una visione di lungo periodo. Con le fusioni si possono superare le criticità dei bilanci e garantire servizi migliori partendo da aspetti basilari come l’ampliamento degli orari degli uffici».
Pavanello Molti Comuni piccoli e medi sono in difficoltà per mancanza di risorse e personale: la fusione è la soluzione
Ferrarelli Non solo i contributi pubblici, anche le economie che derivano dalle fusioni possono rilanciare i territori