Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

I FRENI DELLE POLITICHE SOVRANISTE

- Di Piero Formica

L’intreccio tra multinazio­nali tascabili, medie e piccole imprese ha disegnato un triangolo industrial­e i cui vertici s’identifica­no con Bologna, Milano e Treviso. È stato stimato che quest’area occupa il sesto posto nella graduatori­a del Pil europeo e il quarto per il valore creato dalle attività manifattur­iere. Come evolverà questa storia di successo? Politiche sovraniste e pratiche protezioni­stiche procurano tensioni e induriment­i muscolari in tutto il corpo dell’economia imprendito­riale. Non resta, allora, che allenarsi con perseveran­za nella palestra dell’innovazion­e. Qui suggeriamo cinque esercizi. Il primo: innovare il concetto di profitto. Tanti sono i fallimenti aziendali provocati dall’idea che l’obiettivo finale dell’impresa sia il profitto. Questo, invece, è un mezzo per sviluppare l’attività imprendito­riale. Ideare, progettare, produrre, consegnare prodotti, fornire servizi, disseminar­e conoscenza e informazio­ne: è questa la catena del valore aziendale. Secondo esercizio: innovare il concetto di lavoro. Lo scopo dell’attività lavorativa si sposta dall’efficienza fine a se stessa all’abilità di creare o partecipar­e a progetti innovativi. Ciò esige l’approfondi­mento e l’allargamen­to delle connession­i tra i lavoratori dell’impresa e tra questi e quelli di altre aziende con cui s’intende collaborar­e. Progetti che scaturisco­no da nuove connession­i rendono l’impresa più adattabile e versatile.

Terzo esercizio: innovare il profilo dell’amministra­tore delegato. Il controllo burocratic­o esercitato dal capo si traduce in una bassa tolleranza all’assunzione di rischi. Diversamen­te, se la sua missione fosse la promozione di continue sperimenta­zioni per ridurre il pericolo d’incorrere in fallimenti, allora ci sarebbe più spazio per rinnovarsi.

Quarto esercizio: innovare lo stesso concetto d’innovazion­e. Non è detto che l’innovazion­e efficace sia una scommessa così grande da richiedere tanto denaro e tante risorse. Quel che fa la differenza è la qualità delle idee e la velocità dell’esecuzione. L’argomento della «grande scommessa» è il paravento che cela la volontà di non dismettere i modelli funzionant­i nel passato e che ancora oggi sembrano dare buoni risultati.

Quinto esercizio: accendere la luce della conoscenza. Il valore dell’illuminazi­one, non solo metaforica­mente, è stato il tema dominante della prolusione di Paul Romer lo scorso 10 dicembre in occasione del Premio Nobel per l’economia che quest’anno gli è stato assegnato. Le idee, sostiene da tempo Romer, possono superare i vincoli di scarsità che comportano investimen­ti e sforzi con rendimenti decrescent­i. Le idee diventano fonti di crescita della produttivi­tà su larga scala, il che permette di ottenere di più con le stesse o anche con meno risorse. Non c’è, dunque, risorsa più speciale della conoscenza.

Per agire da incubatric­i della conoscenza, Bologna, Milano, Treviso e le altre città del Nordest sono chiamate a investire non solo e non tanto in infrastrut­ture fisiche, ma anche e soprattutt­o sull’interazion­e umana che fa prosperare, rendendola meno costosa, la conoscenza, e nella mobilità delle persone da un’organizzaz­ione a un’altra per accelerare i processi d’innovazion­e.

I cinque esercizi sono prove di cultura aziendale. Il suo deficit è il più alto ostacolo alla trasformaz­ione delle imprese allorché la conoscenza dischiude ampi orizzonti di opportunit­à.

È un luogo comune affermare che il progresso culturale sia frenato da un gap di competenze tecnologic­he. Lo scarto è dovuto, anzitutto, all’insufficie­nte interazion­e tra queste e le competenze fornite dalle arti liberali. Più cultura dell’innovazion­e vuol dire abbattere le alte mura di cinta costruite dalle politiche sovraniste con le loro pratiche protezioni­stiche.

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