Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
I FRENI DELLE POLITICHE SOVRANISTE
L’intreccio tra multinazionali tascabili, medie e piccole imprese ha disegnato un triangolo industriale i cui vertici s’identificano con Bologna, Milano e Treviso. È stato stimato che quest’area occupa il sesto posto nella graduatoria del Pil europeo e il quarto per il valore creato dalle attività manifatturiere. Come evolverà questa storia di successo? Politiche sovraniste e pratiche protezionistiche procurano tensioni e indurimenti muscolari in tutto il corpo dell’economia imprenditoriale. Non resta, allora, che allenarsi con perseveranza nella palestra dell’innovazione. Qui suggeriamo cinque esercizi. Il primo: innovare il concetto di profitto. Tanti sono i fallimenti aziendali provocati dall’idea che l’obiettivo finale dell’impresa sia il profitto. Questo, invece, è un mezzo per sviluppare l’attività imprenditoriale. Ideare, progettare, produrre, consegnare prodotti, fornire servizi, disseminare conoscenza e informazione: è questa la catena del valore aziendale. Secondo esercizio: innovare il concetto di lavoro. Lo scopo dell’attività lavorativa si sposta dall’efficienza fine a se stessa all’abilità di creare o partecipare a progetti innovativi. Ciò esige l’approfondimento e l’allargamento delle connessioni tra i lavoratori dell’impresa e tra questi e quelli di altre aziende con cui s’intende collaborare. Progetti che scaturiscono da nuove connessioni rendono l’impresa più adattabile e versatile.
Terzo esercizio: innovare il profilo dell’amministratore delegato. Il controllo burocratico esercitato dal capo si traduce in una bassa tolleranza all’assunzione di rischi. Diversamente, se la sua missione fosse la promozione di continue sperimentazioni per ridurre il pericolo d’incorrere in fallimenti, allora ci sarebbe più spazio per rinnovarsi.
Quarto esercizio: innovare lo stesso concetto d’innovazione. Non è detto che l’innovazione efficace sia una scommessa così grande da richiedere tanto denaro e tante risorse. Quel che fa la differenza è la qualità delle idee e la velocità dell’esecuzione. L’argomento della «grande scommessa» è il paravento che cela la volontà di non dismettere i modelli funzionanti nel passato e che ancora oggi sembrano dare buoni risultati.
Quinto esercizio: accendere la luce della conoscenza. Il valore dell’illuminazione, non solo metaforicamente, è stato il tema dominante della prolusione di Paul Romer lo scorso 10 dicembre in occasione del Premio Nobel per l’economia che quest’anno gli è stato assegnato. Le idee, sostiene da tempo Romer, possono superare i vincoli di scarsità che comportano investimenti e sforzi con rendimenti decrescenti. Le idee diventano fonti di crescita della produttività su larga scala, il che permette di ottenere di più con le stesse o anche con meno risorse. Non c’è, dunque, risorsa più speciale della conoscenza.
Per agire da incubatrici della conoscenza, Bologna, Milano, Treviso e le altre città del Nordest sono chiamate a investire non solo e non tanto in infrastrutture fisiche, ma anche e soprattutto sull’interazione umana che fa prosperare, rendendola meno costosa, la conoscenza, e nella mobilità delle persone da un’organizzazione a un’altra per accelerare i processi d’innovazione.
I cinque esercizi sono prove di cultura aziendale. Il suo deficit è il più alto ostacolo alla trasformazione delle imprese allorché la conoscenza dischiude ampi orizzonti di opportunità.
È un luogo comune affermare che il progresso culturale sia frenato da un gap di competenze tecnologiche. Lo scarto è dovuto, anzitutto, all’insufficiente interazione tra queste e le competenze fornite dalle arti liberali. Più cultura dell’innovazione vuol dire abbattere le alte mura di cinta costruite dalle politiche sovraniste con le loro pratiche protezionistiche.