Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
«No, quel nome è brutto» «Sì, sono moderno» Dietro il voto nei Comuni
Ragioni e «micro ragioni», viaggio nei paesi del referendum
No. Perchè? «Perché no». Così, alla Jannacci o alla Renzi se preferite. Un no di pancia: «Il mio comune si chiama Conselve, di abitare in un posto che si chiama Terre Conselvane proprio non mi va». Ecco, frasi così. Abbiamo viaggiato tra i Comuni dove domenica si è votato per accettare o meno la fusioni con il Comune vicino.
CONSELVE – No. Perchè? «Perché no». Così, alla Jannacci o alla Renzi se preferite. Un no di pancia, baritonale con tutte le sfumature melodiche del caso, le quali, messe insieme, compongono una canzone alla base della quale c’è un leitmotiv molto orecchiabile: «Il mio comune si chiama Conselve, di abitare in un posto che si chiama Terre Conselvane proprio non mi va. Terre Conselvane fa schifo, è generico, impreciso, non è luogo. Tanto vale dire che abito in campagna o sugli altipiani». Il signore con signora sulla quarantina, tiene il passo di chi non ha tempo da perdere e nessuna voglia di intrattenersi su questioni così «insensate». Come la seguente appunto: i cittadini di Conselve, Cartura e Terassa Padovana chiamati a pronunciarsi sull’opportunità di unirsi insieme appassionatamente, con un solo sindaco, un solo municipio, un segretario comunale, la stessa carta di identità e messi comunali quanto basta. A Conselve, Cartura e Terrassa il no è stato stentoreo, quello dei singoli perlomeno perché se si guardano le cifre ha prevalso di misura, uno scarto con margini talmente risicati da essere speculari, il sì è il rovescio del no, le motivazioni sono identiche, solo rovesciate.
In altre parti del Veneto è andata diversamente. I Comuni della valle dell’Adige ad esempio uniti di buon grado, forse perché soli e isolati, incastrati come sono sui due versanti erano quelli che più sentivano il bisogno di compagnia; da soli, appunto, di indipendenza non ne sentivano la necessità.
Poco più a sud, là dove la valle si allarga e il Monte Grappa battezza i centri ai quali fornisce a tutti lo stesso patronimico, è prevalso – e forse proprio per questo – lo spirito di fratellanza. Cominciamo da qui, da Crespano del Grappa e da Paderno il nostro giro dentro i misteri di una mappa motivazionale che il voto ha disegnato con mano capricciosa: 5 su 10, confondendone i confini. Non si imbastiscono teorie sociali - progressisti contro conservatori, sovranisti contro comunitari, vecchi contro giovani - impossibile, in gioco c’era sì la convenienza contro l’istinto identitario, il desiderio di riconoscibilità e l’amore per la tradizione contro la logica e l’evidenza contabile, ma appunto cos’è che era più evidente? Da entrambe le parti stavano le ragioni del cuore che la mente non conosce, il voto non s’è spartito per razionalità.
Prendi Fietta, frazione di Paderno dotata di chiesa, bar e propria associazione degli Alpini. Non vogliono spartire niente con Paderno – non si sono nemmeno simpatici – eppure qui l’embrassons nous ha funzionato, i sì sono stati 314 contro 246 no. «Sono un vecchio pensionato – dice l’uomo nell’orto – ma mi reputo moderno è ho votato sì. I no non avevano ragioni da esibire, solo piccoli egoismi e calcoli di bottega».
A Paderno la bottega dice questo: è piccola – 2000 e rotti abitanti – Crespano è più grande - ne fa oltre 4000; la prima è ricca – «siamo azionisti di Asco Piave, gli usi civici della nontagna sono nostri» (come per le Regole di Cortina, ndr), Crespano è «povera». «La campagna del no qui è arrivata a toni ridicoli paventando una colonizzazione da parte dei crespanesi, loro dipinti come barbari o come invasori portoghesi che offrivano perline a noi per convincerci a votare sì» (le perline sono i contributi di regione e stato promessi agli annessionisti, ndr). Eppure anche Fietta ha detto di sì al 67 per cento.
Qui tutti si chiameranno ora piovani del Grappa, una pieve e una prece non si negano a nessuno, i più sono d’accordo, i meno si adatteranno: «Ma non io che preferisco il nome di Crespano, Pieve me lo farò piacere, ma è inflazionato» dice Silvia Savio che ha 18 anni. Crespano porta in dote i numeri, Paderno un quarto di nobiltà. Aldo Perucco è contento e perdente: «Sapevo che sarebbe passato il sì, uno all’opposizione ci deve pur stare, no? I no sono rimasti a casa. Io dico che l’unificazione sarebbe stata più convincente e avrebbe convinto anche me se avesse coinvolto i comuni di Borso, di Fonte di Castelcucco. Così non ha senso».
Ragioni politiche e ragioni contabili, quelle di Conselve sembrano diverse: «Logica logica ci hanno detto, sinergie sinergie. Ma quelle presunte presunte sinergie è tutta la roba che i promotori del referendum ci hanno venduto come economie di scala, altro non erano che un teorema messo in piedi da vecchi amministratori in cerca di visibilità, sindaci in scadenza con voglia di riciclarsi. Il problema non era il quesito in sé, ma chi l’ha proposto. La soluzione era inaccettabile. A quella abbiamo detto no. No alla supponenza, no alla presunzione di chi voleva imporci un nome che non sta né in cielo né in terra, Terre Conselvane».
Roba di cuore e fiotti di bile, non è che la politica manchi di logica. A Conselve ragionano così. In ufficio postale, nell’attesa che si liberi uno sportello, ieri sera c’erano cittadini di Cartura e cittadini di Terassa, tutti a Conselve per imbucare una raccomandata. «Non ho votato ma è come avessi votato no – spiega una giovane donna - nel dubbio non ho fatto niente, a me serviva più riflessione che non c’è stata, non me ne hanno dato la maniera, qui da noi l’hanno messa giù come si dovesse aderire o rifiutare ad un algoritmo. Non ho votato, ma era no».
Cartura non ama Conselve, e viceversa, i rispettivi cittadini si detestano e fraternizzano con l’urbanità delle antiche contrade: «Se dalle differenze nasce il meglio, lasciateci la differenza» annuncia un signore al bar gestito dai cinesi. E torna a bomba la fatidica ipotetica domanda: dove abita lei? «In Terre Conselvane dovrei abitare io? Ma che la lascino al vino questa denominazione. Roba da radicchi. Bastava prendere un pubblicitario, uno qualsiasi: il brand è tutto, noi abbiamo il nostro e, guarda caso, ci piace ancora».
Dovrei dire che abito a Terre Conselvane ma che nome è? Tanto vale dire che abito in campagna
I no non avevano ragioni da esibire, solo piccoli egoismi e calcoli di bottega. Per quello ho detto sì