Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Il Giorno del Ricordo abbatte i silenzi
Ipocrisi, idologie sbiadite e negazionismi: i diritti dei discendenti degli esuli
Dopo settimane di polemiche, finalmente è giunto il Giorno del Ricordo. Dapprima le infelici uscite dell’Anpi di Rovigo, quindi le polemiche sulla scarsa promozione ricevuta dal film Red Land – Rosso Istria, infine la risonanza mediatica ottenuta da convegni di stampo negazionista che si stanno svolgendo in più luoghi della nostra Penisola.
Dopo settimane di polemiche, finalmente è giunto il Giorno del Ricordo. Dapprima le infelici uscite dell’Anpi di Rovigo, quindi le polemiche sulla scarsa promozione ricevuta dal film Red Land – Rosso Istria, infine la risonanza mediatica ottenuta da convegni di stampo negazionista che si stanno svolgendo in più luoghi della nostra Penisola.
Attorno alle tragiche vicende che il Novecento ha tristemente lasciato al Confine Orientale, prima con le foibe – cavità carsiche diventate tomba per migliaia di uomini il cui unico crimine era quello di essere italiani – poi con l’esodo di oltre 350mila persone che dovettero letteralmente abbandonare le proprie case per mantenere la propria lingua, identità, cultura e religione, il clima pare quasi paradossale se pensiamo che stiamo parlando di accadimenti lontani oltre settant’anni. Ma che, evidentemente, toccano ancora il cuore di una stagione politica, quella attuale, che – quasi a contrappasso – vive invece di ideologie alquanto sbiadite.
Il Giorno del Ricordo oggi compie tre lustri e deve rappresentare un momento di partenza e non d’arrivo, la possibilità di uscire dal guscio in cui si era stati incatenati per decenni, in una ritorsione di colpe della storia che continuavano ad essere inopinatamente giustificate da tutto ciò che ha preceduto.
A settant’anni di distanza, i discendenti degli esuli devono poter dignitosamente prendere il testimone dei proprio nonni e genitori, assimilandone la tradizione, farne proprio il sapore, il modo d’essere, conoscere i luoghi di provenienza, visitarli, sognarli. Abbattere i silenzi interni e trovare la forza per rompere il muro delle ipocrisie, imparare le vicende di ogni anziano che si è ascoltato, capirle, portarle caldamente nel cuore.
Per le generazioni che verranno il ricordo di questi drammi non può che essere un mero racconto; è un rarefatto racconto che segna profondamente il nostro presente e che appartiene in modo significativamente diverso da coloro che l’hanno vissuto in prima persona. Il ricordo diventa un secondo o un’eternità, si somma indefettibilmente con le nostre personali esperienze, con il modo con cui gli avvenimenti vengono raccontati, con il momento e il personale stato d’animo. Tanti hanno faticato a narrare gli anni dell’esodo, preferendo non dire ai nuovi amici o colleghi la loro provenienza, perché «tanto non avrebbero capito»; altri sembravano un fiume in piena, avevano quasi bisogno di rendere partecipe il prossimo, di rivivere ancora una volta quegli attimi, quegli anni, quasi a cristallizzarli. Non si deve rimanere schiacciati da una strumentalizzazione livellatrice che vuole sostituire alle facce basite di coloro che sentivano nella provenienza dalle terre d’Istria o Dalmazia l’assimilazione culturale di ciò che era accaduto, riducendo il tutto alla parola «foiba» o peggio ancora all’identificazione di un orientamento politico. Dietro a tutto questo c’è un mondo multiforme di sofferenze, una poliedricità di fatti e misfatti, una realtà ricca dell’esperienza di ciascuno che non deve essere minimizzata o – al più – addirittura dimenticata.
Se tanto bisogna ancora fare per preservare la memoria, la prospettiva deve essere anche positiva, partendo da quanto si è già fatto: durante la settimana appena conclusa una mostra e alcune tavole rotonde si sono svolte presso il Parlamento Europeo; ieri il Quirinale ha celebrato ufficialmente il Giorno del Ricordo, dopo alcuni anni di assenza, alla presenza del Capo della Stato, del Presidente del Consiglio e delle massime autorità, ritornando ad essere anche per gli esuli la «casa degli italiani». E nella quasi totalità dei Comuni, piccoli o grandi che siano, si sono svolte centinaia di iniziative: una corona di fiori, un convegno, una testimonianza, un minuto di silenzio sono segni di un’Italia che sta prendendo consapevolezza, senza timore di dare un’altra lettura ad alcune pagine buie della Storia con cui cominciare a confrontarsi, sollevando il fastidioso velo della retorica.