Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Imerio, il Garrincha del pedale: «E sul Gavia piegai Gaul»

- Di Daniele Rea

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Ffffffffff­ff... clop clop clop. Una volta, due volte. Tre volte. E alla quarta basta, ti arrendi al tuo destino. Quattro forature del tubolare sono tante. Troppe anche in una tappa del Giro d’Italia 1960. Anche se stai salendo la cima del Gavia, prima volta in assoluto, lungo una carrabile sterrata dalle pendenze che ti crocifiggo­no alla bici. Partenza da Trento, arrivo a Bormio dopo 229 chilometri senza respiro. Ffffffffff­ff... clop clop clop. Prima levi il tubolare di scorta da sotto il sellino, vabbè. Poi ti contorci come una salamandra beccata a centro strada per liberarti da quello attorcigli­ato a otto intorno al torso. Alla terza aspetti la macchina della casa, che arriva dopo infiniti minuti di attesa e imprecazio­ni al calendario, che si trasforma in una guida dove riconoscer­e i tuoi santi protettori è un’impresa.

Se poi hai 22 anni e davanti ti arriva solo un fuoriclass­e come Charly Gaul perché ha forato due volte meno di te, la rabbia monta. Imerio Massignan, vicentino di Altavilla (frazione Valmarana, ché lui ci tiene), ha 82 anni portati alla grandissim­a a Silvano d’Orba, Piemonte, dove ha stabilito il suo buen retiro. «Gambasecca», come da soprannome appiccicat­ogli al suo esordio tra i pro, è stato un ciclista di grande estro quando la strada si impennava sotto le ruote. Pochissimi potevano tenergli testa e tra quei pochissimi hanno dovuto piegare la testa anche mostri sacri con Gaul, Anquetil, Nencini e Gimondi. «Gambasecca», un po’ perché le leve erano sottili e cariche di muscoli esplosivi, un po’ perché la destra era un centimetro e mezzo più corta delle sinistra. Un regalo del parto portato avanti senza grossi fastidi. Come un principio di nefrite che ne minò la carriera. Eppure... Un Garrincha del pedale, Massignan, che del passo sghembo aveva fatto una risorsa prima che un peso come il fuoriclass­e del calcio brasiliano. Poche le vittorie, alla resa dei conti, in una carriera iniziata nel 1959, con l’ultimissim­o Coppi e chiusa nel 1971, quando Merckx già imperversa­va. Poche le vittorie ma tante le giornate da leggenda, come quella del Gavia o sui Pirenei al Tour, dove nel 1961 vince per distacco la Tolosa-Luchon, in mezzo a una tempesta di neve. Due volte sua la maglia a pois della classifica degli scalatori al Tour, sfiora il trionfo al Lombardia nel 1961; nel 1962 arriva secondo al Giro dietro Franco Balmamion, al Tour fa un quarto e un settimo posto, ai Mondiali su strada del 1960 arriva ancora ai piedi del podio. Una grande incompiuta, Imerio.

Massignan, da Valmarana strada non è breve... al Gavia la

«Sono nato il 2 gennaio 1937, in una strada tutta in salita... Si vede che era scritto nel destino che dovessi andare in su».

Nel destino, forse, ci stava anche scritto un futuro da contadino?

«La mia famiglia quello faceva: contadini, lavoravano i vigneti. Ricordo che mio padre produceva un rosso che era la fine del mondo. Ma a me piaceva la bicicletta».

Come è arrivato al profession­ismo?

«Da dilettante andavo fortissimo. Nel 1959 la Federazion­e decise di promuovere dieci dilettanti anziché otto e passai anche io».

Firma con la Legnano, squadra prestigios­a, legata al nome di Bartali...

«Firmai tre anni a cinquantam­ila lire al mese: non era malissimo, un operaio ne portava a casa quarantami­la, ma non era nemmeno chissà che. Ma si faceva meno fatica in bicicletta che in fabbrica, secondo me».

Al primo Giro subito quinto. Classifica finale: Gaul, Anquetil, Ronchini, Van Looy e Massignan. Una bella compagnia...

«In mezzo a tanti campioni mi chiedevo: e qui cosa ci faccio? Poi ho capito che in quel gruppo lì potevo starci anche io».

Lei ha gareggiato da esordiente tra i big nell’ultimo anno di Fausto Coppi. Com’era il Campioniss­imo?

«Un galantuomo, un super campione. Elegante nei modi e nel parlare, mi aveva preso in simpatia: Corse a tappe non ne faceva più a quasi 40 anni ma qualche classica insieme l’abbiamo corsa. “Vai così, vai bene” mi diceva sempre. Un signore, ecco».

Una classifica ideale dei grandissim­i con cui ha gareggiato?

«Coppi, Anquetil, Gaul e Nencini».

Lei ha corso il Tour del ‘60, quello dove trionfò proprio Nencini: si narra di passaggi di sigarette e Chianti, cosa c’è di vero?

«Tutto... Era un fuoriclass­e ma amava fumare e non disdegnava il vino rosso. Io ero addetto a passargli le sigarette, ogni tanto voleva fumare anche in corsa, idem per il vino dove nemmeno io mi tiravo indietro. Ma cosa vuoi che sia un po’ di vino quando in una tappa mandavi giù sette o otto litri di acqua?».

Massignan e le donne: da giovane che lei fosse un vero castigator­e... si dice

«Macché, le morose le avevano tutti, sono stato un profession­ista serio, altroché. È pur vero però che alla Legnano presentai una nota spese completa di tutto, comprese diecimila lire “perché l’uomo non è di legno”».

Cioè?

«Beh, l’uomo non è di legno giusto? Tantomeno il ciclista... Quindi scrissi tot per il treno, tot per dormire, tot per le trattorie e diecimila lire “perché l’uomo non è di legno”. Pavesi, il mitico avocatt, il nostro direttore sportivo, prima strabuzzò gli occhi, poi tolse e mise la pipa di bocca dieci volte e alla fine firmò. Anche lui era stato un corridore...».

Massignan detto «Gambasecca», per via di quella destra più corta della sinistra. Non è mai stato un problema in corsa?

«All’inizio sì ma poi Tullio Campagnolo, l’inventore del deragliato­re al cambio, vicentino come me, mi creò una pedivella speciale e con quella andavo come una moto».

Gavia, 1960, che ricordi ha?

«Torriani mise quella salita in una tappa per la prima volta, una pendenza terribile e una stradina sterrata, una mulattiera nel fango e nel nevischio. Andai in fuga e staccai tutti, compresi Anquetil e Gaul: andavo proprio forte ma forai: una volta, due, tre... Sui sassi le gomme scoppiavan­o come palloncini».

E dietro non mollavano di certo...

«No, per giunta non avevo la macchina al seguito

La nota delle «spese» Quando ero alla Legnano presentai a Pavesi la mia nota spese: tot per il treno, tot per i pernottame­nti, tot per la trattoria e diecimila lire “perché l’uomo non è di legno”: prese e firmò

perchè sulla salita il motore era andato in ebollizion­e. Quando arrivò era tardi ma ripresi Gaul, lo staccai di nuovo e ritrovai la testa: solo che forai una quarta volta, a poche centinaia di metri dal traguardo: mi riprese, mi passò e ciao. Arrivai piangendo di rabbia al traguardo, con la ruota a terra, a 15 secondi».

Una tappa epica, lì nacque la leggenda di Massignan «l’angelo del Gavia».

«Mi diede notorietà, anche sui giornali. Ma avrei preferito vincere, ecco... Sono arrivato secondo un po’ troppe volte, come al Lombardia del 1962: sul muro di Sormano fui l’unico a non aver messo piede a terra. Poi però ha vinto Taccone e io dietro, a tre secondi».

Vittorie e sorrisi non le sono mancati però, ha qualche rimpianto?

«Ho vinto la classifica degli scalatori due volte al Tour, ho vinto la tappa a Luchon sui Pirenei ma ancora penso al Giro del ‘62: potevo vincerlo su una gamba sola ma dovevo stare con Battistini, ordini di scuderia. Quando poi ho avuto il via libera Balmamion era avanti di qualche minuto, lì è rimasto e sono arrivato, appunto, secondo, te pareva...».

Massignan, lo segue ancora il ciclismo?

«Beh, da qualche anno non mi muovo molto, ho problemi a un’anca. Però quando ci sono Giro e Tour non perdo una tappa in tv. In fondo, quella è stata la mia vita».

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La schedaMass­ignan ha iniziato tra i «pro» nel 1959 dopo un’eccellente carriera tra i dilettanti e subito si classificò quinto nella generale della clrsa vinta da Gaul.
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 ??  ?? Imerio Massignan è nato a Altavilla Vicentina il 2 gennaio 1937, frazione di Valmarana, ed è stato ciclista profession­ista per dodici anni.
Imerio Massignan è nato a Altavilla Vicentina il 2 gennaio 1937, frazione di Valmarana, ed è stato ciclista profession­ista per dodici anni.
 ??  ?? Alte cimeMassig­nan primo sul terribile Muro di Sormano e tra le nevi sul passo del Gavia nel 1960
Alte cimeMassig­nan primo sul terribile Muro di Sormano e tra le nevi sul passo del Gavia nel 1960

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