Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
LA MAFIA CHE AIUTA E COLPISCE
La ‘ndrangheta in provincia di Verona esiste, ha nomi e cognomi, e agisce trovando la collaborazione e la complicità di imprenditori locali. Lo ha attestato ieri mattina l’operazione Terry, coordinata dalla Dda di Venezia con il supporto dei Carabinieri del Ros. Un’inchiesta giudiziaria destinata a lasciare un segno importante in Veneto: sette arresti e 20 perquisizioni la maggior parte dei quali tra le province di Verona, Venezia, Vicenza e Treviso. Il principale indiziato è Domenico Multari, detto «Gheddafi», di cui abbiamo già scritto su questo giornale nel 2011, quando la Direzione investigativa antimafia di Padova dispose nei suoi confronti il sequestro di beni per un valore di tre milioni di euro. Multari vive con la famiglia a Zimella, in provincia di Verona, da trent’anni. Dagli inquirenti è ritenuto appartenente al gruppo ‘ndranghetista dei Dragone e, successivamente, dei Grande Aracri, cosca mafiosa la cui operosità in provincia di Verona è emersa anche nel corso dell’inchiesta Aemilia della Dda di Bologna.
Nell’alveo di Multari sono finiti degli imprenditori, alcuni come vittime altri come richiedenti dei servizi. Tra gli imprenditori vittime, ve ne sono di quelli operanti nel settore edile – comparto da sempre appetibile per le mafie, anche al Nord – i quali con la minaccia e la violenza sono stati sottoposti ad estorsione e hanno perso tutto finendo, uno di essi, per andare a vivere in una roulotte.
È laconferma che chiedere soldi ai mafiosi non conviene mai: loro non prestano soldi per far soldi, ma prestano capitali per impadronirsi delle aziende. L’imprenditore criminale scaccia l’imprenditore onesto. I mafiosi sono mobili. Agiscono dove serve e lasciano un chiaro segno del loro passaggio. Dinamiche simili, permeate dalla minaccia e dalla violenza, erano emerse in altre inchieste che hanno riguardato il Veneto. Si pensi all’inchiesta Aspide, dove un gruppo legato alla camorra casalese effettuava azioni di recupero crediti. Questo attesta che i mafiosi sono cercati anche in Veneto: il loro metodo è efficiente anche se magari costa un po’ di più rispetto alle procedure del mondo legale.
L’inchiesta della Dda di Venezia ci dice un’altra cosa importante: il potere nelle mafie sta nella roba, ossia nei beni di cui essi dispongono. La testimonianza di quanto sia vero questo principio lo dimostrano le minacce che Multari e i suoi parenti rivolgevano agli ufficiali giudiziari e i possibili acquirenti dei beni che gli erano stati sequestrati qualche tempo fa.
Da ultimo occorre fare i conti con la società. In molti a Zimella sapevano che Multari non era solo un imprenditore, ma un signore che con le cattive maniere poteva risolvere tanti problemi che le autorità pubbliche avrebbero forse sistemato con tempi lunghi. E per questo si rivolgevano a lui, come hanno documentato le indagini. Il metodo mafioso gode quindi di un certo consenso sociale anche nel ricco Nordest e non è affatto vero che esso sia del tutto sconosciuto alla popolazione veneta. È la conferma che i mafiosi tendono a presentarsi come una sorta di Stato nello Stato: offrono protezione, sicurezza, mediazione. Ma quando serve si avvalgono della loro risorsa principale: la violenza.