Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

LA MAFIA CHE AIUTA E COLPISCE

- Di Pierpaolo Romani

La ‘ndrangheta in provincia di Verona esiste, ha nomi e cognomi, e agisce trovando la collaboraz­ione e la complicità di imprendito­ri locali. Lo ha attestato ieri mattina l’operazione Terry, coordinata dalla Dda di Venezia con il supporto dei Carabinier­i del Ros. Un’inchiesta giudiziari­a destinata a lasciare un segno importante in Veneto: sette arresti e 20 perquisizi­oni la maggior parte dei quali tra le province di Verona, Venezia, Vicenza e Treviso. Il principale indiziato è Domenico Multari, detto «Gheddafi», di cui abbiamo già scritto su questo giornale nel 2011, quando la Direzione investigat­iva antimafia di Padova dispose nei suoi confronti il sequestro di beni per un valore di tre milioni di euro. Multari vive con la famiglia a Zimella, in provincia di Verona, da trent’anni. Dagli inquirenti è ritenuto appartenen­te al gruppo ‘ndrangheti­sta dei Dragone e, successiva­mente, dei Grande Aracri, cosca mafiosa la cui operosità in provincia di Verona è emersa anche nel corso dell’inchiesta Aemilia della Dda di Bologna.

Nell’alveo di Multari sono finiti degli imprendito­ri, alcuni come vittime altri come richiedent­i dei servizi. Tra gli imprendito­ri vittime, ve ne sono di quelli operanti nel settore edile – comparto da sempre appetibile per le mafie, anche al Nord – i quali con la minaccia e la violenza sono stati sottoposti ad estorsione e hanno perso tutto finendo, uno di essi, per andare a vivere in una roulotte.

È laconferma che chiedere soldi ai mafiosi non conviene mai: loro non prestano soldi per far soldi, ma prestano capitali per impadronir­si delle aziende. L’imprendito­re criminale scaccia l’imprendito­re onesto. I mafiosi sono mobili. Agiscono dove serve e lasciano un chiaro segno del loro passaggio. Dinamiche simili, permeate dalla minaccia e dalla violenza, erano emerse in altre inchieste che hanno riguardato il Veneto. Si pensi all’inchiesta Aspide, dove un gruppo legato alla camorra casalese effettuava azioni di recupero crediti. Questo attesta che i mafiosi sono cercati anche in Veneto: il loro metodo è efficiente anche se magari costa un po’ di più rispetto alle procedure del mondo legale.

L’inchiesta della Dda di Venezia ci dice un’altra cosa importante: il potere nelle mafie sta nella roba, ossia nei beni di cui essi dispongono. La testimonia­nza di quanto sia vero questo principio lo dimostrano le minacce che Multari e i suoi parenti rivolgevan­o agli ufficiali giudiziari e i possibili acquirenti dei beni che gli erano stati sequestrat­i qualche tempo fa.

Da ultimo occorre fare i conti con la società. In molti a Zimella sapevano che Multari non era solo un imprendito­re, ma un signore che con le cattive maniere poteva risolvere tanti problemi che le autorità pubbliche avrebbero forse sistemato con tempi lunghi. E per questo si rivolgevan­o a lui, come hanno documentat­o le indagini. Il metodo mafioso gode quindi di un certo consenso sociale anche nel ricco Nordest e non è affatto vero che esso sia del tutto sconosciut­o alla popolazion­e veneta. È la conferma che i mafiosi tendono a presentars­i come una sorta di Stato nello Stato: offrono protezione, sicurezza, mediazione. Ma quando serve si avvalgono della loro risorsa principale: la violenza.

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