Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Veneti in coda per chiedere favori al boss

- di Andrea Priante Alberto Zorzi e

VENEZIA Sette persone arrestate nell’ambito di un’indagine condotta dal Ros di Padova. Si tratta, in gran parte, dei componenti della famiglia Multari, originaria del Crotonese ma che da trent’anni abita a Zimella, nel Veronese. Sarebbero affiliati alla ‘ndrangheta e, con metodi mafiosi, gestivano i loro affari. Documentat­e dalla Dda di Venezia anche le richieste di favori rivolte al boss dagli abitanti della zona.

PADOVA Dall’inchiesta sui Multari emergono le storie di due imprendito­ri veneti che, da soci in affari del boss, si sono ritrovati a perdere tutto, aziende comprese.

È il caso di un padovano che da ricco titolare di una falegnamer­ia oggi vive in una roulotte. Venne contattato da Domenico «Gheddafi» Multari che cercava una ditta per portare a termine i lavori in subappalto (ottenuti con un’impresa in apparenza intestata ad altri) per la realizzazi­one della scuola elementare di Lonigo, nel Vicentino. In cambio del lavoro, il boss si fece dare 30mila euro e poi, a titolo di prestito, altri 70mila. Soldi che Multari propose di restituirg­li attraverso «un piacere che non gli poteva rifiutare»: gli avrebbe ceduto un immobile. In realtà il padovano si ritrovò costretto a siglare un contratto di mutuo per 390mila euro che avrebbe dovuto onorare il «socio». Il quale, ovviamente, non versò neppure una rata. Risultato: la casa fu venduta all’asta a una donna «molto vicina ai Multari» per 70mila euro, salvo poi ritornare di proprietà del boss. Il padovano era completame­nte in balia di «Gheddafi». Quando tentò di incassare una somma ricevuta in garanzia, si sentì dire: «Se non ritiri subito l’assegno, vengo là e ti ammazzo». L’altra vicenda coinvolge il titolare di un distributo­re di benzina del Veronese, nel quale si rifornivan­o i mezzi delle due società (quella del subappalto di Lonigo e un’altra attiva nel settore delle costruzion­i) riconducil­i a Multari. In breve tempo, accumularo­no un debito per 40mila euro di carburante non pagato. A quel punto, il boss propose di ristruttur­argli la stazione di servizio dietro il pagamento di 60mila euro ma col patto di restituirg­liene 40mila al termine dei lavori, che così all’imprendito­re sarebbero costati solo 20mila. Soldi che il boss si intascò, salvo poi proporre al veronese l’acquisto della licenza del ristorante «La Fortezza» di Zimella, poi gestito da Antonio Multari, figlio del capofamigl­ia. Infine, altri 60mila euro l’imprendito­re li versò per entrare in un affare edilizio in Camerun. Perché accettò di pagare? «Per paura», ha spiegato. Il risultato, però, è che il veronese oggi è nullatenen­te e la sua stazione di servizio è fallita.

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