Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Il costruttor­e del lusso e lo yacht da incendiare «Assoldò un killer»

Crosera chiese ai Multari, e poi a una gang di albanesi, di distrugger­e l’imbarcazio­ne venduta per due milioni

- A. Zo. – A. R. T.

VENEZIA C’erano i politici e le associazio­ni di categoria. E l’immancabil­e sacerdote per la benedizion­e. Per Quarto d’Altino era stata una grande festa il varo dello yacht «Terry I», avvenuto il 3 maggio 2014 nel cantiere Crosera nella località Portegrand­i. Quasi cinque anni dopo, quella barca di lusso – venduta dal veneziano di Meolo Francesco Crosera all’italo-svizzero Luciano Pagotto, ex pilota amatoriale e imprendito­re del settore immobiliar­e – più che un affare si è rivelata un incubo, che gli ha fatto perdere la testa fino all’arresto di ieri con l’accusa di essersi affidato alla ‘ndrangheta per incendiarl­a. Crosera, 53 anni, è finito in carcere per tentato incendio e frode processual­e. «Una persona - scrive il gip Barbara Lancieri - che pur operando con l’apparente faccia pulita dell’imprendito­re, in un settore del lusso, è in grado di compere senza scrupolo alcuno azioni dalla forte valenza criminale».

Secondo la ricostruzi­one degli inquirenti e la testimonia­nza di Pa g ot t o , quello yacht – pagato quasi due milioni – mostra subito gravi difetti. «A partire dalla prima navigazion­e la zona poppiera si era completame­nte allagata», ha raccontato agli inquirenti. E Crosera lo sapeva bene, visto che è stato intercetta­to mentre diceva che «la barca è fatta da c...», anche se dava la colpa a un terzo. Pare poi che non raggiunges­se la velocità prevista e avesse vizi estetici e meccanici. A quel punto l’imprendito­re ha chiesto, tramite i suoi avvocati Barbara Morassut e Daniele Solinas, un accertamen­to tecnico preventivo al tribunale di Sassari, visto che nel frattempo la barca era passata ad Alghero. I periti avrebbero dovuto visionarla il 13 e il 14 aprile 2015, ma il 12 notte era andata a fuoco: solo l’intervento degli addetti al molo aveva limitato i danni a 60 mila euro. I carabinier­i hanno ricostruit­o che era stato proprio il «boss» a essere contattato da Crosera e a mandare in Sardegna i calabresi Dante Attilio Mancuso e Mario Falbo, i cui movimenti erano stati ricostruit­i tramite i voli e la prenotazio­ne in un albergo del luogo. La perizia era andata avanti, rivelando problemi per almeno 300 mila euro. Nel 2017 però i legali di Pagotto avevano avviato anche un lodo arbitrale, che si sarebbe poi concluso con una cifra vicina al milione.

A quel punto l’imprendito­re veneziano ha alzato il tiro: prima ha ricontatta­to Multari (che era intercetta­to e pedinato dai Ros), ma il tentativo di un nuovo incendio con Falbo e Radames Mancuso (figlio di Dante Attilio) a luglio è fallito perché la barca era stata spostata in un cantiere con troppe telecamere. «Non si può fare niente», diceva Falbo al telefono a Multari, sostenendo che anche Crosera era d’accordo. Quest’ultimo invece era sbottato: «Abbiamo tutta l’estate davanti no? (...) sicurament­e se non è oggi sarà domani... bisogna fare la festa qua». A quel punto l’impren- ditore si era rivolto a due albanesi, offrendogl­i 100 mila euro (di cui 40 mila di acconto) per bruciare non solo la barca, ma l ’ i ntero cantiere sardo. Questi ultimi però, resisi conto della difficoltà dell’operazione, avrebbero rivenduto per 60 mila euro le registrazi­oni dei colloqui con Crosera a Pagotto, il quale poi aveva riferito tutto agli inquirenti. Crosera si voleva poi vendicare degli albanesi, chiedendo a un terzo connaziona­le di ucciderne uno dei due. Che il veneziano fosse fuori controllo lo dimostra il f at to che gl i

Il giudice Operava con la faccia pulita ma compiva azioni senza scrupoli

stessi due albanesi avevano invece messo a segno due incarichi più semplici ma non meno criminali: l’incendio della Jaguar del titolare della darsena confinante, con cui da tempo litigava a suon di denunce, e di un furgone per prenderei soldi dell’assicurazi­one. Fatti avvenuti tra novembre e dicembre del 2017.

Al cantiere nessuno ha voglia di parlare. «Non so niente», dice un giovane dipendente mentre attende che si apra il grande cancello elettrico. Dietro si intravedon­o operai al lavoro su diverse imbarcazio­ni e alcune auto parcheggia­te, ma al citofono non risponde nessuno. Fuori, nel piccolo piazzale in terra battuta e sassi, altre auto in sosta. Proprio quel piccolo spiazzo all’ingresso del cantiere, situato alla fine di un tratto sterrato, è stato oggetto negli anni di diversi contenzios­i con l’ amministra­zione pubblica, che si concludera­nno in autunno al Consiglio di Stato. L’impresa è nata nel secolo scorso per volere del bisnonno degli attuali proprietar­i ed è cresciuta nel corso degli anni insieme alle capacità costruttiv­e. Un luogo storico, creato da una famiglia che affonda qui le proprie radici, riferiment­o per la nautica di alta gamma al punto da essere inserita nel 2016 tra le «100 eccellenze d’Italia» in un omonimo volume. Un riconoscim­ento assegnato per «la capacità e l’intelligen­za nel riuscire a trasmetter­e l’amore verso un mestiere antico come quello del maestro d’ascia» e celebrato a palazzo Montecitor­io a Roma, sede della Camera dei deputati.

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Francesco Crosera
 ??  ?? Il varo dell’imbarcazio­ne La cerimonia per il varo dello yacht «Terry I» avvenuto il 3 maggio del 2014 al cantiere di Portegrand­i
Il varo dell’imbarcazio­ne La cerimonia per il varo dello yacht «Terry I» avvenuto il 3 maggio del 2014 al cantiere di Portegrand­i

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