Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Maurice Marinot e il vetro come scultura moderna

- Tuzii

Art déco ante litteram, scarpiane ante litteram, materiche ante litteram. Anche tecnicamen­te ante litteram, contraddis­tinte da mille bolle intrappola­te e domate. Sull’Isola di San Giorgio Maggiore a Venezia, arrivano le creazioni dell’artista-vetraio che ha posto le basi del vetro contempora­neo.

Aperta dal 25 marzo al 28 luglio, la mostra Maurice Marinot. Il vetro, 1911-1934, a cura di Jean-Luc Olivié e Cristina Beltrami, è il nuovo capitolo di «Le Stanze del Vetro», progetto pluriennal­e di Fondazione Giorgio Cini e Pentagram Stiftung. Realizzata in collaboraz­ione col Museo di Arti Decorative di Parigi, la rassegna dà conto - con 220 opere in vetro e 105 disegni di quella rivoluzion­e del gusto compiuta da Marinot, capace di inventare una modernità di forme attraverso innovative tecniche di lavorazion­e. «L’estetica di Marinot - spiega il segretario generale della Cini Pasquale Gagliardi - nasce dal suo rapporto corpo a corpo col vetro, oggetti massicci, scultorei, che portano i segni di questa lotta con la materia». Dopo una formazione parigina, la carriera di Maurice Marinot (1882-1960) prende avvio come pittore fauve. Poi il destino, nel 1911, lo fa «inciampare» nel vetro. Comincia a decorare a smalto oggetti prodotti dalla vetreria industrial­e di amici a Bar-sur-Seine, nella regione dell’Aube. Prime prove già distanti dai modelli precedenti. È questa la via che porterà il francese all’unicità e alla consacrazi­one. Prende parte al Salon del 1912 e dall’anno seguente inizia ad essere rappresent­ato dalla prestigios­a Galleria Hébrard.L’excursus dell’esposizion­e veneziana ripercorre l’iter creativo di Marinot, «opere radicali, bombe di energia», marca Luca Massimo Barbero, direttore dell’Istituto di Storia dell’Arte della Cini. Dalla naïveté degli smalti del 191112 - in mostra i fantastici « Deux vases della Maison Cubiste» blu - alle corrosioni ad acido dei manufatti anni Venti, che solcano le superfici spesse del vetro, come quella del «Vase double masque» del 1928; fino alla materia in movimento dei lavori che imprigiona­no bolle d’aria trasforman­dole in elementi decorativi effervesce­nti. Nella galleria di flaconi, il turchese «Flacon méplat» (1925) ne è un esempio. «Tutti i pezzi esposti sono trasparent­i, l’effetto colore è dato dall’inclusione di metalli», svela David Landau, Trustee di Pentagram Stiftung.

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Opere in mostra all’Isola di San Giorgio a Venezia

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