Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Rissa con il morto, parlano i fratelli Stella: «Noi innocenti travolti dall’odio sui social»
FARRA DI SOLIGO «Contro di noi ci sono migliaia di accusatori e di giudici, che hanno già emesso una sentenza di morte». A diciotto giorni dalla morte di Alessandro Sartor, stroncato da infarto durante una rissa davanti all’Osteria al Bakaro di Tovena, Alberto e Francesco Stella hanno deciso di parlare per la prima volta.
Dopo il silenzio nel quale hanno vissuto l’arresto per omicidio preterintenzionale, con l’accusa di aver colpito il 45enne provocandone la morte e soprattutto «dopo tutto l’odio ricevuto e che non riusciamo a spiegarci» era il momento di spiegare. «Vogliamo ribadire la nostra innocenza assoluta. Ci hanno dipinto come “Mostri assetati di sangue”. Giudicati e condannati, come in un processo di piazza medievale. Nonostante l’autopsia abbia accertato che Sartor è morto a causa di un infarto. Gli assassini siamo noi, perché avremmo pagato tutti: dal medico legale alla procura». I due imprenditori di 31 e 25 anni, hanno scelto di parlare nella sede della Stelby, l’azienda di famiglia, con accanto i genitori Raffaele e Loredana, la sorella Maria Elena e le fidanzate Sara e Irene. «La nostra famiglia è stata la nostra forza – ha spiegato Alberto -. Nei quattro giorni in cui siamo stati in cella, solo sapere che loro non ci avrebbero abbandonato ci ha aiutato a non crollare». Il padre Raffaele, in lacrime, ha ricordato come pur giovanissimi lo abbiano sostituito alla guida delle aziende perché si era ammalato: «Sono orgoglioso dei miei figli». Alberto poi precisa: «Non vogliamo vendetta, ma giustizia e faremo di tutto perché la verità venga a galla. Per noi ma anche per la memoria di chi oggi non c’è più».
Il maggiore dei fratelli Stella ha poi ricostruito quella tragica notte: «Non abbiamo preso parte a nessuna rissa. Mio fratello è stato aggredito da alcune persone e lo dimostrano i segni che aveva sul corpo». Per questo Alberto gli ha detto di andare via: «Quando Francesco si è allontanato, Sartor era in piedi. E’ crollato dopo. E io sono rimasto lì per oltre mezzora, mentre intervenivano i soccorsi, senza che nessuno dicesse nulla. Poi all’improvviso la piazza si è rivoltata contro di me e per la mia incolumità me ne sono dovuto andare». Poche ore dopo i fratelli Stella erano in carcere: «Noi non avevamo alcun segno sulle mani, a differenza di altre persone che erano lì. Chi ci ha accusati ha attuato un vero e proprio depistaggio». Gli Stella si aspettano giustizia: «Sappiamo che la procura sta continuando, anche in questi giorni, le indagini – precisa il loro avvocato Danilo Riponti -, e siamo sicuri che, se è stata ingannata da alcuni testimoni, saprà valutare anche la loro responsabilità». Hanno poi parlato dell’odio che li ha investiti: «Abbiamo ricevuto oltre 5 mila messaggi di insulti, con minacce di morte rivolte a noi, a nostra madre e a nostra sorella. E contro i nostri amici che hanno provato a difenderci. Non riusciamo a spiegarci il perché» ha ribadito Francesco leggendo una decina di post esemplificativi, alcuni corredati dalla foto di un cappio. «Sono vittime di un inspiegabile tam tam di istigazione all’odio, inquietante dal punto di vista criminologico e sociologico» conclude l’avvocato Riponti. Per questo Alberto e Francesco assicurano: «Ci faremo promotori, cercando di coinvolgere la politica, di una campagna contro l’hate speech, l’incitamento all’odio online».
L’avvocato Riponti Sappiamo che le indagini continuano e siamo sicuri che la procura, se è stata ingannata da alcuni testimoni, saprà valutare anche la loro responsabilità