Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Zanfron, dagli scatti ai ciak: il fotografo attore in un film presentato a Venezia
Dagli scatti della macchina fotografica ai ciak di una cinepresa. Il bellunese Luca Zanfron, fotografo del Corriere del Veneto, si è ritrovato per caso a passare dall’altra parte dell’obiettivo. E ora il film che ha girato, diretto dalla regista vicentina Lucia Zanettin, vivrà un momento di preziosa vetrina il prossimo 30 agosto alle 12 durante la Mostra d’Arte cinematografica di Venezia, quando, nello spazio Regione Veneto all’hotel Excelsior, sarà proiettato in anteprima il trailer. Il film, La val che urla, è stato girato in 18 mesi tra Vicenza - dove sono stati ripresi esterni cittadini necessari alla storia - e nella valle del Vanoi in Trentino, ma è ambientato in una valle tra Veneto e Trentino, ripresa sempre con toni scuri e possibilmente nei periodi più freddi dell’anno. Perché La val che urla, prodotto da Lilla film, è un thriller e racconta la storia di un ingegnere cinquantenne, interpretato dal bellunese Piergiorgio Piccoli, che fugge dalla città dopo essere stato licenziato per riparare in montagna, nei luoghi che frequentava da piccolo. Lì, però, si trova in mezzo a una serie di omicidi che hanno un legame col suo passato. Tra i suoi comprimari, proprio Zanfron, che interpreta un forestale. Dopo il trailer a Venezia il film è stato iscritto ad alcuni festival e poi uscirà nelle sale, non prima della primavera. Oltre a Zanfron recitano la bellunese Fiammetta Nena, e Guenda Goria, figlia di Maria Teresa Ruta.
Zanfron, come è diventato attore per questo film?
«Avevo già fatto una parte nel film di Renzo Martinelli sul Vajont. Interpretavo mio padre, il fotografo Bepi Zanfron. Un giorno sono andato a vedere il film della Zanettin Le stelle di Celi dedicato al campione Marcello De Dorigo, ci siamo conosciuti ed è nata questa idea».
Come è stato passare «dall’altra parte»?
«Per nulla facile! Devi un po’ capire dagli altri quello che devi fare, dipendi da loro, devi fare quello che ti dicono, e devi farlo come vogliono loro... Non sono abituato!».
Avete girato nell’arco di tempo di diciotto mesi e spesso in mezzo alla neve. Quello è stato difficile?
«No, a muoversi nella neve siamo abituati. Come pure a non darci per vinti».
Indossa la divisa del Corpo Forestale. Che emozione le ha dato?
«Gli ex Forestali hanno tirato fuori tutti gli oggetti che usavano dagli armadi: divise, uniformi, fondine, scarponi. Volevano che il forestale fosse ricordato come una figura buona, positiva, che sta vicino alla gente tutti i giorni, nelle difficoltà che questi territorio possono portare».
Debutto
Passare dall’altra parte non è facile: se sei attore sono gli altri a dirti cosa fare e come farlo, come muoverti. Non sono abituato
Nel film sono ritratte anche le difficoltà di chi dalla città arriva in montagna, il rapporto dei montanari con i forestieri...
«Sì, la regista voleva dare questo effetto. Il protagonista arriva dalla città e chiede una camera per dormire. Gli danno una malga. Chiede di scaldarsi e gli danno la legna... Insomma, dovrà cavarsela...».