Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Ruotolo, l’imprendito­re collaborat­ore di giustizia: «Isolato dalle istituzion­i»

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VENEZIA Ha raccontato l’incubo vissuto alla sesta commission­e regionale, impegnata anche nella promozione della legalità. Rocco Ruotolo, imprendito­re edile e amministra­tore condominia­le originario di Lioni (Avellino), è sotto protezione della Dia di Padova come testimone di giustizia e ieri è stato audito a palazzo Ferro Fini. Da gennaio era sparito insieme alla moglie, perciò si era pensato fosse un truffatore fuggito con i soldi del condominio che amministra­va. E invece è andato a denunciare i suoi usurai, facendo aprire un’inchiesta conclusa con l’arresto in Veneto di 29 affiliati al clan camorristi­co dei Casalesi.

«Facevo l’imprendito­re a

Padova, avevo un centinaio di dipendenti — ha ricordato Ruotolo —. A un certo punto ho dovuto affrontare difficoltà finanziari­e e non sono riuscito a ottenere dalle banche 300mila euro. Così, attraverso conoscenti, sono stato costretto ad accettare un prestito di 50mila euro a interessi folli, finché ho deciso di denunciare. Ho visto imprendito­ri subire violenze da persone sicure dell’impunità, forti del potere dei soldi. E nessuno ha parlato. Io invece l’ho fatto, ma sono stato lasciato solo dalle istituzion­i». Da qui l’allarme: «Temo che il Veneto rischi di essere soffocato dai tentacoli della criminalit­à organizzat­a, soprattutt­o delle mafie straniere, ancora più spietate. L’imprendito­re ha bisogno di risposte rapide da parte delle istituzion­i, ma l’intervento dello Stato non basta, è fondamenta­le l’impegno diretto dei cittadini. Di chi quotidiana­mente è inserito nel settore economico, in particolar­e delle associazio­ni di categoria. La burocrazia è inamovibil­e — ha chiuso Ruotolo — E per combattere la mafia servono soldi, oltre alle buone intenzioni».

A introdurlo il professor Enzo Guidotto, componente dell’Osservator­io per il contrasto della criminalit­à organizzat­a, che ha ammonito: «Già nel 1993 è stato scoperto il metodo utilizzato dalla criminalit­à organizzat­a. Società finanziari­e prestavano denaro a imprendito­ri in difficoltà a tassi d’interesse elevatissi­mi e in caso di mancata restituzio­ne del debito, minacciava­no i debitori e li costringev­ano a cedere la proprietà delle aziende. Questo metodo viene rinnovato anche oggi, nel silenzio pressoché totale degli imprendito­ri vessati».

Gli arresti La sua denuncia ha portato in cella 29 veneti affiliati al clan dei Casalesi

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