Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Trame nere contro Rumor, il nipote tacita l’ordinovista: «Scorta partecipe? Follia»
Che l’ombra nera dell’ascia bipenne di Ordine nuovo si fosse allungata su Mariano Rumor è fatto noto. I tre gradi di giudizio del processo a Gianfranco Bertoli, l’anarchico «stirneriano» che lanciò la bomba in via Fatebenefratelli la mattina del 17 maggio ‘73, hanno confermato come il vero obiettivo dell’attentato fosse l’allora ministro dell’Interno Mariano Rumor. Lo stesso Bertoli, più volte, raccontò di voler vendicare la persecuzione di tanti anarchici, colpendo il politico vicentino. Vincenzo Vinciguerra, ex di Ordine nuovo, ergastolo per l’autobomba di Peteano, Gorizia, (tre carabinieri morti e due feriti il 31 maggio ‘72), ha ripetuto più volte come, dal ‘71 al ‘72, il veneziano Carlo Maria Maggi e il veronese Marcello Soffiati gli avessero suggerito l’uccisione di Rumor. Ora, testimone al processo bolognese per la strage del 2 agosto 1980 contro l’ultino dei Nuclei armati rivoluzionari, il nero Gilberto Cavallini, Vinciguerra ha ripetuto la propria verità: le colonne di Ordine nuovo in Veneto gli proposero di ammazzare il democristiano veneto, con il supporto della scorta ministeriale.
Presidente del Centro studi storico-politici Rumor, e nipote del politico scomparso nel ‘90, Giuseppe Caldana rigetta al mittente le ultime parole pronunciate in Corte D’Assise a Bologna: «É un’enorme sciocchezza - dice -. Li conoscevo personalmente gli uomini della scorta, sia quelli di Roma che quelli di Vicenza, ed erano affezionati alla persona, non solo al servizio che facevano allo Stato».
Cancellando il coinvolgimento della scorta, per la parte in cui Vinciguerra dice di aver avuto la proposta dagli ordinovisti veneti di uccidere suo zio, lo ritiene credibile?
«Credo sia stato scritto e sostanzialmente confermato che, avendo mio zio rifiutato di proclamare lo stato d’emergenza dopo i fatti di piazza Fontana, fosse finito nel mirino dei fascisti. L’attentato di Milano di maggio ’73, durante la cerimonia per la dedica di una statua alla memoria del commissario Calabresi (Luigi Calabresi, vice capo dell’ufficio politico della questura di Milano, ucciso il 17 maggio del ‘72 da esponenti di Lotta Continua, da sinistra era indicato come responsabile della morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli, precipitato dalle finestre della questura tre anni prima, in circostanze mai chiarite. Era stato convocato e trattenuto oltre i termini di legge nelle indagini su piazza Fontana, ndr), aveva Rumor come obiettivo. L’autore, Gianfranco Bertoli, sedicente anarchico, era in realtà un fascista. Fu un attentato di matrice fascista e, sicuramente, nei motivi aveva quelli indicati dal vostro articolo». Leggere l’articolo, oggi, che sentimenti le suscita?
«Mi ha veramente irritato quel chiamare in causa la scorta. Come le ho detto, per qui ragazzi metterei entrambe le mani sul fuoco».
Ancora una domanda. Nelle carte di suo zio, che lei ricordi, c’è qualcosa che possa aiutare a ricostruire le vicende nere ancora al centro del processo bolognese?
«Più che nelle carte, il mio è un ricordo di natura orale. Sono il più vecchio dei nipoti, parlavamo molto e lo zio era molto lucido. Diceva: “Sono sicuramente stati i fascisti (in riferimento ai fatti di Milano, ndr). Non potevo immaginare che ci fossero appartai deviati dello Stato coinvolti, se lo avessi saputo avrei reagito”».