Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
È CURA DELL’ALTRO NON MERO REGALO
Non blandisce, non crea debito, «cancella» chi lo fa: è generosità che porta oltre la dimensione del regalo
Sospeso tra presente e futuro, dicembre può essere un mese pesantissimo, se non ci ricordiamo della virtù sottotraccia, silenziosa e indomabile del dono.
Il vero regalo cela una virtù sociale: la cura dell’altro
C’è di che stravolgersi una volta in mezzo ad una torma di gente surriscaldata e trafelata che, senza troppo successo, cerca oggetti improbabili e idee regalo a buon mercato, più che altro indesiderati. Da un posto all’altro. Reparto dopo reparto. Scaffale dopo scaffale di un centro commerciale. Stirato fra presente e futuro può capitare che dicembre possa essere un mese pesantissimo, se non ci ricordiamo, da subito, della virtù sottotraccia, silenziosa, indomabile del dono. Non perché il dono prima fosse più semplice, immediato, rispetto alle condizioni attuali dell’attenzione solidale verso gli altri. Si fatica a immaginare che sia un gesto facile e gratis, dal punto di vista economico e personale, il cui controvalore, nel momento in cui siamo affaccendati in mille rivoli di vanità, in fondo, è incommensurabile. Non starò a tediarvi su quanto sia mutato l’orizzonte attuale del regalo di Natale, spesso, interessatissimo o banalissimo. La virtù del dono è adiacente, domestica, quotidiana e dovrebbe estendersi a qualcuno di sconosciuto, lontano, stasera. Persino al condomino o al compagno improvvisato di una partita a carte. Un ritorno alla radice delle relazioni umane e sociali, al riparo da azzimate spettacolarizzazioni, capaci di far leva sulla monodimensionalità emotiva e fisica. Il dono salta a piè pari la contingenza per raggiungere la vicinanza, l’informale, le reti amicali, familiari, interpersonali che sanno tenere insieme e corroborare il tessuto sociale. Destrutturato, disintermediato dal narcisismo di massa dei social, più fragile, però anche più reale. Si tratta di quel gigantesco fronte trasversale della cura e del prendere cura spontaneamente delle tante parcellizzazioni sintomatiche che disconnettono il centro dalla periferie, le belle luminarie dalle ombre profonde del precario equilibrio umano e sociale. Per tornare all’origine di un principio di condivisione, quasi fosse una filologia del dono, cioè, di qualcosa di solido, nel senso d’ idem sentire, di essere sulla stessa barca, consapevolmente. In ogni dono che immaginate di fare o ricevere dovrebbe dimorare questa abitudine o attitudine che non s’acconsenta di tradursi in moto dell’animo, in generico richiamo ad un gesto di attenzione, concentrazione su cose che, altrimenti, non ci riguardano. All’opposto, i paradossi e le contraddizioni della contemporaneità contrassegnata dall’accelerazione vertiginosa di beni e persone dimostrano le buone ragioni per ricreare continuamente le condizioni sociali e istituzionali di quell’antropologia del dono. Il rischio che il dono possa rivelarsi debito, la possibilità che molti doni siano avvelenati non deve impedire la possibilità che qualcosa tenga insieme il sociale attraversandone la mera contingenza dei rapporti. Non è questione di formulazione, ma di paradigmi, categorie, circuiti di un gesto universale che chiamiamo dono. Una strada al pari di una città intera può essere concepita come dono aperto a modifiche, integrazioni, all’opposto, snaturanti e stravolgimenti sotto i colpi di maglio finanziario della gentrificazione. Tutto quello che sappiamo del dono e sul dono è in un capolavoro assoluto, cioè il Saggio sul dono di Marcel Mauss, pubblicato nel secolo scorso. Ancor più nella società della rete, iperconnessa, cronocompressa, incessante. Di nuovo e di più per la capacità innata del dono di contaminare categorie e, come si dice ora, «sentiment» per riflettere le percezioni degli immaginari avanzati. Proprio male non è. Proprio male non fa.
Il dono salta a piè pari la contingenza per raggiungere le reti che tengono insieme il tessuto sociale