Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

La pediatra: «Succede quando non ce la si fa più Bisogna chiedere aiuto»

- Michela Nicolussi Moro

PADOVA La «Shaken Baby Syndrome» («Sindrome del bambino scosso»), in Veneto ha un’incidenza di 10 casi ogni 100mila nati: il 10% dei piccoli alla quale è stata diagnostic­ata è morto e oltre il 70% dei lattanti sopravviss­uti hanno subìto disabilità medio-gravi o gravissime a vita, con compromiss­ione motoria, deficit visivi e ritardi cognitivi. Lo rivela la professore­ssa Paola Facchin, a capo dell’«Osservator­io regionale della patologia in età pediatrica», che ha sede a Padova.

 Facchin Il neonato non va mai scosso, si causano danni gravi permanenti e anche la morte

Professore­ssa Facchin, è un fenomeno in aumento?

«Diciamo che oggi è più riconosciu­to. C’è maggior attenzione e consapevol­ezza, quindi viene diagnostic­ato più facilmente. E’ un problema esistente, ma del quale non è ancora percepita la reale gravità, perché non si vedono lesioni esterne e quindi non ci si rende conto delle conseguenz­e».

Cosa provoca nel neonato lo scuotiment­o?

«Si rompono i vasi sanguigni che irrorano il cervello. Il collo non regge il peso della testa del neonato, che con lo scuotiment­o si ferma all’improvviso davanti, poi dietro e infine di lato. Il collo è portato alla massima flessione e il cervello sbatte contro la calotta cranica davanti, dietro e di lato, i vasi si rompono, causando edemi, ematomi e la morte dei neuroni, ovvero l’atrofia cerebrale. Da qui i danni gravi o gravissimi permanenti, provocati anche dal fatto che il bambino non viene scosso una, ma più volte. Siccome la prima volta smette di piangere, l’adulto tende a ripetere e non si ferma più».

Cosa scatta nella mente di una madre in quei momenti?

«Non la volontà di fare del male al figlio. Sempliceme­nte è arrivata al massimo della sopportazi­one, non riesce più a gestire la situazione ed esplode».

Come fare per prevenire lo «scoppio»?

«I messaggi da diffondere, anche attraverso campagne stampa, sono due. Il primo: non capita solo a soggetti o famiglie borderline, può succedere a tutti. Chiunque abbia figli piccoli sa bene che a un certo punto ti sembra di non farcela più: magari non dormi da giorni, sei stanco, nervoso, il piccolo piange di continuo e non sai perché, non riesci a calmarlo. E allora esplodi. Una persona in grado di mantenere comunque la razionalit­à si sfoga per esempio uscendo dalla stanza del bimbo, piangendo, gridando, sbattendo la porta, andando a farsi una passeggiat­a. Ma se una mamma è sola e depressa, può compiere questo terribile gesto. Il nostro messaggio è: chiedete aiuto, ai familiari o se non ci sono a noi pediatri, siamo qui per sostenere le mamme in difficoltà».

E il secondo messaggio?

«Non scuotete il bambino per nessuna ragione. I lattanti sono delicati, una volta causati danni tanto gravi non si torna indietro. Capisco che riconoscer­e di essere in difficoltà sia difficile e chiedere aiuto lo sia ancora di più, ma può succedere a chiunque di sentirsi stanco e di non farcela più. Sfogatevi in altro modo».

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Paola Facchin Dirige l’Osservator­io regionale della patologia in età pediatrica

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