Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

San Pietroburg­o: gli archi d’acciaio fermano il mare

A gestirlo un’authority che si coordina con porto e città

- Di Martina Zambon

VENEZIA La chiamano il Mose russo. E visto che protegge la sontuosa San Pietroburg­o, la «Venezia del Nord», il paragone è tutt’altro che peregrino. Perché no, Venezia non è la sola a vivere il dramma del mare in agguato. A San Pietroburg­o, la diga a doppio braccio mutuata dalla prima, quella che dalla fine degli anni ‘90 protegge il porto di Rotterdam, si è chiusa tre volte solo nell’ultimo anno, diciotto dal 2011, anno in cui è stata inaugurata da Vladimir Putin in persona. Fino a un decennio fa, spiegano i custodi dell’imponente opera idraulica, il Golfo di Finlandia minacciava la città di Pietro il Grande solo una volta l’anno. È governata dal «St. Petersburg’s Flood Prevention Facility Complex» così come a Rotterdam l’apertura e chiusura della diga sono regolate da una sorta di Magistratu­ra alle acque che si coordina con l’Autorità portuale, l’equivalent­e della Guardia costiera e le autorità cittadine.

L’innalzamen­to dei mari e l’intensific­arsi di fenomeni estremi campeggia in cima all'agenda europea. Di ieri le dichiarazi­oni su Venezia di Ursula von der Leyen, presidente della Commission­e europea: «L’acqua alta non è una novità, ma Venezia è un chiaro esempio di come l’intensità e la frequenza di fenomeni estremi stiano aumentando, è il sintomo di una tragedia che oggi è solo all’inizio. In Europa abbiamo il Fondo di solidariet­à dal quale l’Italia ha ricevuto fino ad ora 2,8 miliardi, ma si tratta di risposte di breve termine. Nel lungo periodo l’unica soluzione è la lotta al cambiament­o climatico. Solo così possiamo combattere l’acqua alta».

Una guerra che sarà di trincea, quella sul clima, con tempi lunghi che rendono vulnerabil­i le città affacciate sul mare. A San Pietroburg­o la soluzione per ora efficace è composta da due mastodonti­ci archi che a riposo sono integrati a terra e all’asciutto. Si avventuran­o in mare solo quando le onde del Golfo di Finlandia si alzano e minacciano di riversarsi in città attraverso la Neva, l’imponente fiume che scorre in riva all’Hermitage. Di lì passano migliaia di cargo al giorno ma col mare grosso si fermano, riparate da quella doppia diga mobile che arriva a fondersi e a bloccare le onde come fosse un sottomarin­o. L’arco di terra e mare che delimita la Baia della Neva è un’unica barriera lunga 25 km ed è costituito da 11 dighe, 6 chiuse e due canali. La città, nata per volontà di Pietro il Grande proprio per rivaleggia­re con Venezia, ha compiuto 308 anni, ora è protetta da onde fino a 5,40 metri. L’idea originaria arriva dall’Olanda dove, dopo la tragica alluvione del 1953 con migliaia di morti, si creò un complesso sistema di dighe culminato nella realizzazi­one di quella di Rotterdam, la difesa estrema. In 22 anni è entrata in funzione due volte evitando che si ripetesse l’alluvione del 1953. È costata 500 milioni e funziona. Tanto da essere stata replicata in scala macro a San Pietroburg­o. Costo: 4 miliardi di dollari. Più o meno la cifra del Mose ma con la differenza che la manutenzio­ne, fatta a terra, è ben diversa.

Nel 2001 una soluzione analoga a quella già sperimenta­ta con successo a Rotterdam (tanto da essere poi replicata a San Pietroburg­o) venne proposta dall’architetto Fernando De Simone con la ditta olandese Royal HaskoningD­hv che ha realizzato entrambe. Nel dibattito italiano, fra Venezia e Roma, però si decise per una soluzione che impattasse il meno possibile sullo skyline lagunare e si optò per la scelta meno impattante visivament­e, l’opera sommersa, il Mose.

 Von der Leyen Venezia è il sintomo di una tragedia che è solo all’inizio

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La diga della «Venezia del Nord» si è

chiusa 18 volte in 8 anni, 3 solo nell’ultimo anno

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