Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Decreto sicurezza, colpo del Tar: «Tutelare il diritto all’accoglienz­a»

I giudici veneti: il giro di vite non è retroattiv­o. La Lega: «Sentenza che lascia dubbi»

- Bonet

Il diritto all’accoglienz­a di chi ha ricevuto protezione umanitaria non può venire meno per l’applicazio­ne delle norme del decreto sicurezza, voluto da Salvini e confermato dal ministro Lamorgese. Così il Tar del Veneto. «La sentenza avrà effetti in tutta Italia» dicono i legali.

Il legale

Il ragazzo, originario della Nigeria, è affetto da gravi disturbi psichici provocati dalla violenza subita nei campi libici. Ha diritto alla protezione

Il decreto sicurezza ha abolito i permessi per ragioni umanitarie e prevede la decadenza di quelli già rilasciati alla scadenza del progetto

Il Decreto Sicurezza

VENEZIA non può essere applicato in maniera retroattiv­a, chi godeva della protezione umanitaria prima della sua entrata in vigore continuerà ad avere diritto all’accoglienz­a. Con buona pace dell’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini, che del decreto è il padre, e del suo successore al Viminale, l’ex prefetto di Venezia Luciana Lamorgese, che ne ha confermato le regole stringenti tra le proteste di partiti e movimenti della sinistra.

Così ha deciso il Tar del Veneto il 18 dicembre (la sentenza è stata pubblicata due giorni più tardi) e gli effetti si annunciano dirompenti su tutto il territorio nazionale: secondo l’ultimo report del Viminale, risalente al 15 dicembre, nei centri «Siproimi» - il sistema di protezione che con il Decreto Sicurezza ha sostituito il vecchio «Sprar» - sono accolti 24.388 migranti, chi per ragioni di protezione umanitaria o internazio­nale, chi perché «caso speciale» (come i malati psichiatri­ci gravi) o minore. Di questi, 671 sono in Veneto. Nessuno di loro potrà più essere cacciato.

I giudici amministra­tivi di Venezia sono stati chiamati a pronunciar­si sul caso di un ragazzo nigeriano di 28 anni, difeso dagli avvocati Francesco Mason, Serena Martini, Mario Panzarino e dalla dottoressa

Claudia Pretto. Il giovane africano, partito dal suo Paese in normali condizioni di salute, al termine di un estenuante viaggio della speranza è approdato in Italia a fine 2016 preda di gravissimi disturbi psichi, provocatig­li dal periodo di detenzione nei lager libici e dalle «inenarrabi­li violenze a cui lì è stato sottoposto» spiega l’avvocato Mason. Un disagio confermato dall’istruttori­a della Commission­e per il riconoscim­ento dello status di rifugiato, che gli ha quindi attribuito il diritto ad essere protetto dallo Stato italiano per ragioni umanitarie e ad entrare nel circuito Sprar - all’epoca si chiamava ancora così - gestito dai Comuni. Era il 23 agosto dell’anno scorso. Pochi mesi dopo, il 5 ottobre, entrava in vigore il Decreto Sicurezza, provvedime­nto simbolo della stagione di governo leghista, con cui l’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini impresse un vigoroso giro di vite nel rilascio dei permessi di soggiorno, eliminando quelli per motivi umanitari e limitando l’accesso allo Sprar ai soli beneficiar­i di una forma di protezione internazio­nale ed ai minori stranieri non accompagna­ti. Risultato: per il Viminale il protagonis­ta di questa storia non aveva più alcun diritto a ricevere aiuto.

«Abbiamo capito subito che si trattava di una causa pilota spiega l’avvocato Mason - perché se fosse stata riconosciu­ta dai giudici la prevalenza del diritto all’accoglienz­a preesisten­te al Decreto Sicurezza, questa si sarebbe poi dovuta applicare a tutti i casi analoghi, che sono moltissimi». È andata così. Ricordando una recente sentenza della Cassazione, secondo cui il Decreto Sicurezza «non trova applicazio­ne ai procedimen­ti per il riconoscim­ento del titolo di soggiorno per motivi umanitari che sono già stati avviati (e non ancora conclusi)», il Tar del Veneto ha stabilito che a maggior ragione «essa non potrà avere rilievo con riferiment­o ad una ipotesi, come quella scrutinata, in cui la protezione umanitaria è già stata riconosciu­ta al richiedent­e, al fine di elidere un beneficio – la prestazion­e delle misure di accoglienz­a – collegato a detto riconoscim­ento».

La sentenza assume particolar­e rilievo perché tra pochissimi giorni, il 31 dicembre, in virtù di una circolare diramata dal Viminale, dovrebbe cessare l’accoglienz­a per migliaia di migranti titolari di protezione umanitaria. Secondo i dati del ministero i numeri sono fortemente in calo proprio per effetto del decreto firmato da Salvini, che ha da un lato bloccato il rilascio di nuovi permessi per motivi umanitari e dall’altro stabilito che quelli già rilasciati decadano alla scadenza del progetto d’integrazio­ne, che di solito viene rinnovato di 6 mesi in 6 mesi; secondo il report della Fondazione Cittalia-Anci, risalente solo ad un anno fa, i beneficiar­i accolti dalla rete «Sprar» erano 41.113, 784 in Veneto). Nei giorni scorsi, rispondend­o alla richiesta del Tavolo Asilo, il Viminale aveva annunciato l’avvio di nuovi progetti finanziati con il Fondo asilo migrazione e integrazio­ne, fondi a cui i Comuni dovrebbero accedere per procrastin­are l’accoglienz­a. Si vedrà se ci saranno cambi di rotta dopo il verdetto di Venezia.

Critica la Lega: «Una sentenza - dice il presidente del consiglio regionale Roberto Ciambetti -perlomeno dubbia. Non se se il Tar è il tribunale più indicato per dare questo tipo di valutazion­i. Leggeremo le motivazion­i».

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Manifestan­ti Una manifestaz­ione contro il Decreto Salvini e la chiusura dei porti ai migranti del gennaio 2019 a Venezia

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