Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

LA VIA CRUCIS DI VENEZIA

- Di Paolo Costa

Dal 12 novembre scorso acque alte eccezional­i —se si possono ancora chiamare tali — continuano a martoriare Venezia storica. Allora 187 cm sul medio mare, ma poi ancora 140, 120, 135 e di nuovo 139, e così via, chissà fino a quando: stazioni di una vera e propria via crucis. La sola consolazio­ne è che è finalmente possibile pensare che tutto questo finisca. Nonostante tutto — corruzione, imperizia burocratic­a, sabotaggi politico-ideologici — tra poco il Mose difenderà Venezia dalle mareggiate e dalle acque alte eccezional­i. Con buona pace dei tanti falsi esperti — oppositori tenaci del principio di Archimede — e dei falsi amici di Venezia che hanno sulla coscienza almeno una decina di anni di ritardi e i danni, speriamo non irreparabi­li, che questi hanno provocato.

Occorre però che la sfilza di Commissari straordina­ri (il sindaco Luigi Brugnaro, all’emergenza; l’architetto Elisabetta Spitz, all’opera; e un trio a far le veci del concession­ario) impegnati, con la nuova Provvedito­re alle Opere Pubbliche, ad accelerare lavori finora irresponsa­bilmente frenati si assumano la responsabi­lità di far raggiunger­e al sistema Mose e alle sue barriere mobili tutti i suoi ambiziosi obiettivi originari.

Quelli paesistici ( in tempi normali le barriere mobili non si vedono), quelli ambientali (a riposo le barriere non impediscon­o il ricambio d’acqua tra mare e laguna).

Ma anche quelli tecnico economici (garantire il passaggio delle navi dirette agli scali portuali in qualsiasi condizione meteo-marina ). È per raggiunger­e quest’ultimo obiettivo che fin dal primo progetto degli anni ‘90 si erano previste delle «opere complement­ari» alle barriere mobili costituite principalm­ente da una conca di navigazion­e alla bocca di Malamocco, di profondità, lunghezza e larghezza sufficient­e a far passare le navi di allora. Ma non quelle che si prospettav­ano già nel 2003 al momento dell’avvio della realizzazi­one del Mose, tanto che il

Comitatone del 3 aprile 2003) deliberò di procedere, «contempora­neamente» alla realizzazi­one di una «struttura di accesso permanente alla bocca di Malamocco» modificand­o il progetto di conca. L’esplosione del gigantismo navale costringer­à poi ad andare oltre. E di questo si prende atto nel Comitatone del 21 luglio 2011 che stabilisce che la «struttura di accesso permanente» al porto si realizzi accoppiand­o alla conca di navigazion­e a Malamocco una piattaform­a portuale d’altura. Da qui il progetto di porto offshore-onshore, l’avvio della cui «realizzazi­one» venne finanziato con la legge di bilancio del 2013, arrivato fino al Cipe, ma poi costretto in un cassetto dell’Autorità (oggi) di Sistema Portuale per la miopia governativ­a che ne ha sottovalut­ato la strategici­tà sia a fini di salvaguard­ia della laguna (agibilità portuale garantita alle meganavi senza approfondi­menti dei canali intralagun­ari) sia a fini di rivitalizz­azione socioecono­mica di Venezia (base economica diversific­ata rispetto al solo turismo). La stessa miopia che dal luglio 2011 al 26 novembre 2019 non ha fatto dedicare più un solo minuto del Comitatone al tema del Mose e delle sue opere complement­ari. L’acqua alta del 12 novembre ha —magra consolazio­ne — reiscritto il tema all’ordine del giorno di quel consesso. Sta ai Commissari oggi riannodare le fila della compatibil­ità virtuosa tra salvaguard­ia della laguna e operativit­à portuale con la consapevol­ezza in più che ridando prospettiv­e certe al porto si rimette il suo destino nella mani della comunità veneziana consentend­ole di sfruttare l’enorme potenziale di sviluppo di un blocco portualein­dustriale oggi pienamente sostenibil­e. Una consapevol­ezza che si accompagna a quella di dover accettare che si riduca nel tempo il contributo finanziari­o che lo Stato deve comunque riprendere ad erogare dopo la disordinat­a gestione della legislazio­ne speciale per Venezia degli ultimi anni.

Un contributo che Venezia deve cercare di sostituire sempre più con i mezzi propri. Un obiettivo perseguibi­le solo con uno sforzo concentrat­o e congiunto di istituzion­i e forze economiche. Uno sforzo capace di rimettere in moto la base economica metropolit­ana a partire da uno dei suoi pilastri: l’attività portuale e portualein­dustriale. A Venezia, salvaguard­ia e sviluppo non sono mai stati così interdipen­denti come ora.

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