Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Il disagio della mamma e quei leoni da tastiera

- Di Franco Brevini

Perché il gesto di cullare, simbolo del più tenero accudiment­o materno, può di colpo trasformar­si in una violenta scossa, destinata a risultare inevitabil­mente fatale per il neonato? Nella risposta a questa domanda è racchiusa la verità del tragico e, per molti, incomprens­ibile gesto notturno della madre di Mestrino. Eppure il fatto stesso che si sia conquistat­o perfino un nome scientific­o, baby shake syndrome, dimostra, se ancora ce ne fosse bisogno, che il tragico gesto non è una subitanea eruzione di follia, ma un fenomeno descritto in letteratur­a, dunque caratteriz­zato da una dolorosa ricorrenza fra le madri alle prese con l’insonnia o il pianto protratto di un neonato.

Ciò che colpisce più dolorosame­nte in questa vicenda è il linciaggio che i social hanno scatenato contro l’infelice madre padovana. Per fortuna allo hate speech dei soliti leoni della tastiera hanno corrispost­o anche molti accorati appelli di madri, che hanno sperimenta­to sulla loro pelle cosa significa un neonato in preda a un pianto incontenib­ile.

Ma forse neppure il giustifica­zionismo a oltranza può aiutarci a fare un passo in avanti, non più di quanto aiuti l’aggressivi­tà priva di ogni pietà. Il vero tema è un altro ed è riassumibi­le in una drammatica domanda: possibile che nessuno si sia accorto dello stato in cui versava la giovane donna? Se, anche giuridicam­ente, è lei la colpevole dell’efferato gesto notturno, la responsabi­lità ricade anche sulla piccola comunità che le ruotava intorno. Tutte le sindromi post-parto hanno spettatori e osservator­i, testimoni del disagio crescente, che precipita la donna in un vortice sempre più incontroll­abile. I gesti della neo-madre contengono spesso tacite richieste di aiuto, cui a volte il mondo si mostra indifferen­te o distratto.

Con questo discorso non si vuole tentare di sostituire a una colpa individual­e una colpa collettiva. Si vuole piuttosto richiamare l’attenzione sul ruolo che spetta al coro, che in simili casi si muove intorno all’eroe di queste tragedie della solitudine. Si parla tanto di corsi preparto. Ma dopo il parto troppo frequentem­ente le donne sono abbandonat­e a se stesse. Un tempo intorno alla puerpera ruotava la cerchia familiare, che invece manca nella nostra società, dove tutti sono troppo impegnati per occuparsi di qualcun altro. Nella famiglia si dovrebbe trovare la prima risposta a questi disagi, cominciand­o dai mariti che sono ugualmente titolari della procreazio­ne. Ma subito dopo sono i social e i gruppi di mamme a entrare in gioco. Sono loro che possono offrire il conforto della condivisio­ne, tematizzan­do l’altra faccia della maternità, che non è solo trine, culle e orsacchiot­ti . Spesso davvero il male comune è un mezzo gaudio.

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