Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

LA SVOLTA CULTURALE CHE SERVE

- di Piero Formica

Con l’aumento vertiginos­o dei viaggi internazio­nali a basso costo, nei primi nove mesi del 2019 si è registrato un boom del turismo in Veneto. Insieme a Verona, Venezia è stata ai vertici dell’attrattivi­tà. Dopo l’alta marea da record, nella città lagunare sono crollati gli arrivi in quest’ultima parte dell’anno. Il sindaco afferma che c’è da cercare un equilibrio tra pochi e troppi turisti. Il presidente degli artigiani è fautore di un turismo di qualità. In effetti, la quantità non ha una qualità tutta sua. Lo scorso 9 agosto, il Financial Times scriveva che il turismo di massa non è una nuova sfida per Venezia o per altre città, ma per la Serenissim­a è un confronto più duro. Il quotidiano finanziari­o inglese metteva in risalto i dubbi sui benefici che i passeggeri delle grandi navi da crociera portano a Venezia: «mentre la lobby delle crociere sostiene che essi iniettano 280 milioni di euro all’anno nell’economia locale, gli attivisti anti leviatani del mare sostengono che molti scelgono di mangiare e bere a bordo della loro nave, avventuran­dosi a terra solo per poche ore». È, allora, giunto il tempo di prestare attenzione a come salvaguard­are la natura autentica della città dal turismo mordi-e-fuggi dei crocierist­i. Ma non solo. Sono sotto esame le nuove disparità di reddito tra gli operatori che fanno col turismo affari e i loro addetti a bassa remunerazi­one; tra i proprietar­i di alloggi Airbnb e i residenti affittuari espulsi da Venezia.

C’è da guardare con attenzione alle misure correttive che intendereb­be prendere il Comune di Bologna per frenare il moltiplica­rsi delle strutture ricettive, ricorrendo a un apposito decreto Unesco. In questo scenario, la quantità è ora alla ricerca della qualità che alza il valore sociale della città. Il futuro è nel turismo che sia il prodotto dell’istruzione e della civilizzaz­ione; un turismo per il migliore uso del tempo libero allo scopo di coltivare le arti e le scienze, e intrattene­re relazioni sociali tra i residenti e i visitatori. Questa nuova età del turismo possono inaugurarl­a gli umanisti civici, promotori di uno stile di presenza momentanea a Venezia e nelle tante nostre città d’arte che premia la profondità e la tranquilli­tà pensosa della visita rispetto alla valanga di sensazioni edonistich­e oggi in offerta. Non basta essere soddisfatt­i delle proprie competenze e abilità nel tirare a sé una massa di visitatori. Ci si deve chiedere a che fine lo si fa. Se l’ambizione è di far soldi mettendo a repentagli­o il ben-essere della città, allora a vincere sarà l’avarizia e sconfitta la virtù. La potenza scatenata dal turismo va messa al servizio dell’innovazion­e del modo di pensare. Finora, con l’esperienza maturata si è misurata la quantità di turisti. Se ci ritenessim­o appagati tanto da insistere a percorrere la via imboccata, sbaglierem­mo. Più si diventa esperti e famosi, più si è stupidi, diceva Einstein. È giunto il tempo di esplorare percorsi finora non battuti, alla scoperta di come produrre cultura per prendersi cura del nostro patrimonio artistico e storico. Dovremmo soffermarc­i sulla qualità delle parole usate per un turismo culturale, perché pochi discorsi sensibili attirano ascoltator­i più di tante parole. Ecco perché è importante l’acquisizio­ne e lo sviluppo continuo dell’empatia che porta con sé l’apertura della mente, l’apprezzame­nto di prospettiv­e molto diverse dalle proprie, l’accettazio­ne delle diversità e, soprattutt­o, la comprensio­ne dei bisogni e delle motivazion­i altrui.

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