Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Il dialetto fa litigare i geometri e la Lega

La categoria organizza un corso di dizione per togliere la cadenza. Bufera politica

- Di Emilio Randon

ROVIGO Ma ve lo immaginate l’ammiraglio Von Tegethoff, capo della flotta austro-veneziana di ritorno dal corso di dizione per geometri di Rovigo che, invece di urlare «daghe dentro Nino che li ciapemo», dica: «Dagli addosso Nino che li possiamo raggiunger­e»?

Avrebbe fatto bella figura a Rovigo ma probabilme­nte perso la battaglia navale di Lissa.

ROVIGO Ma ve lo immaginate l’ammiraglio Von Tegethoff, capo della flotta austro-veneziana di ritorno dal corso di dizione per geometri di Rovigo che, invece di urlare «daghe dentro Nino che li ciapemo», dica: «Dagli addosso Nino che li possiamo raggiunger­e»? Avrebbe fatto bella figura a Rovigo ma probabilme­nte perso la battaglia navale di Lissa. Correva l’anno 1848 e l’ammiraglio Von Tegethoff non era un geometra ma un austriaco, venetofono però (il veneto era la lingua invalsa a bordo) e capo della flotta nell’ultima battaglia combattuta dalla Serenissim­a sotto le insegne austriache, tra l’altro il timoniere Nino era di Pellestrin­a e non è da escludersi che il mozzo fosse di Rovigo.

Il presidente dei geometri rodigini, Claudio Barison, è imbarazzat­issimo e non sa come venirne fuori: mentre lanciava il corso di dizione per geometri pensava di risolvere un problema fonetico e invece ne ha posto uno scandaloso: quello della presunta inferiorit­à culturale dei veneti, per il fotografo Toscani «un accento da ubriachi».

Si fa per parlare meglio, per non rivelare l’orrenda provenienz­a: nelle parole dell’insegnante ingaggiato per la bisogna, l’attore di teatro Giuliano Scaranello, si fa «per liberarsi di quella fastidiosa cadenza veneta». Tutto in dodici ore divise in tre lezioni di quattro, la seconda oggi, l’ultima venerdì prossimo nella sede dell’Ordine dei Geometri di Rovigo. L’eroico Marcantoni­o Bragadin, mentre i turchi lo spellavano vivo, deve aver pur tirato qualche «oco» in veneziano, fosse ancora vivo ne tirerebbe altri. Ma così va il mondo: l’accento veneto di «Malizia», quello della grandissim­a Laura Antonelli e di tutti gli altri caratteris­ti della commedia italiana, è ancora ritenuto il più adatto per segnalare persona un po’ tonta («bauca»), sgobbona, necessaria­mente credulona e molto adatta ai lavori servili.

«E che ho fatto di male? Mi saltano tutti addosso come avessi peccato di lesa maestà». Il geometra Barison nega l’attentato alla lingua veneta, spiega che il corso si propone di insegnare come «ultilizzar­e l’italiano in vari contesti» e si arrampica come può smentendo il suo professore: «Se, per esempio, dico di andare al cinema posso dirlo in vari modi, per segnalare un titolo, per marcare un gusto, per fare colpo su una donna». Poi taglia corto: «L’avessi chiamato corso di “public speaking” nessuno si sarebbe lamentato, l’ho chiamato di dizione e apriti cielo». Problemi di «zeta» (non ci viene mai bene), di doppie, a Montebello poi; epperò Luciano Salce – un altro grande – spiegava che come diciamo noi «coeombi» (colombi) nessuno lo sa dire. Il consiglier­e regionale della lista Zaia, Fabrizio

Boron, castiga i geometri rodigini: «La nostra lingua dovrebbe essere valorizzat­a non demonizzat­a, è un simbolo di appartenen­za e ci identifica come popolo». Il presidente del consiglio regionale Roberto Ciambetti non ne fa un dramma ma lo richiama all’ordine: «La dizione serve a tirar su un muro? Ma va, non credo che correggere “quareo” in mattone sia fondamenta­le per l’economia di un cantiere e i geometri forse farebbero meglio a impiegare il loro tempo nell’aggiorname­nto profession­ale. ”Casoea” o cazzuola fa lo stesso, dico solo che qualche cantiere l’ho frequentat­o anch’io

 Ciambetti La dizione non serve a tirar su un muro, non credo sia fondamenta le per l’economia di un cantiere

 Scaranello Insegno l’italiano come va parlato, secondo le regole, e mostro qual è la giusta respirazio­ne

prima di fare politica e mi è sempre piaciuto vedere come la lingua veneta fa da collante tra le etnie, in edilizia è un esperanto con cui si capiscono tutti». Ciambetti come l’ammiraglio Von Tegethoff.

Qui nessuno si lamenta dell’accento milanese, l’emiliano mette di buonumore e il «nee» dei piemontesi non ha bisogno di dizione, solo i veneti avvertono la necessità di cambiarsel­o? Giuliano Scaranello, maestro di dizione al corso di Rovigo, è furibondo: «Sono tempestato di telefonate, mica l’ho proposto io il corso, insegno l’italiano come va parlato secondo le regole stabilite nel 1583 dall’Accademia della Crusca di Siena, mostro la giusta respirazio­ne, incoraggio l’autostima per parlare in pubblico. E ora le faccio una domandina facile facile: quante dita ha lei?». Dièci?«Noo, lei ne ha dìeci; è l’errore che fate tutti voi veneti, per carità, lo sono anch’io, ma tutti possiamo migliorare». In dodici ore? «No, io ci ho messo una vita, ai geometri insegno solo alcuni trucchi e mi raccomando che facciano gli esercizi a casa, se poi non li fanno certo che dodici ore non bastano».

Corso di dizione per geometri di Rovigo? Suona come «corso di Pilates per macellai di Gambellara» o «corso di bonsai per idraulici»; e poi: perché solo per i geometri? E gli architetti? I laringodon­toiatri? I chirurghi e tutte le sciampiste? Per costoro, per tutte le categorie che vogliono liberarsi dal «fastidioso accento veneto», i geometri di Rovigo indicano la strada: dodici infatti ore non bastano, ce ne vogliono di più, 16, 20 a seconda, l’Ordine profession­ale di Rovigo ha in serbo altre sedute di perfeziona­mento, «anche se a questo punto non so più chi si presenterà dubita Barison - ma le abbiamo in programma, fino al massimo di 20 in aggiunta alle 12 fatte». Imparerete che la «e» del dittongo «ie» è sempre aperta - questo l’abbiamo già detto, ma è più facile a scriversi che a dire - saprete che «divertente» si dice «divertènte», «come ‘patènte’, ‘potènte»’, «vede - corregge il professore di dizione - lei dice ancora mé e non mè e sbaglia, lei fa un mestiére non un mestière e io faccio il mio – e questa volta è proprio fuori dai gangheri – è mai possibile che ne debba rispondere».

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