Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Palazzo del Cinema mai realizzato: danno da 12 milioni
La procura della Corte dei Conti all’attacco per l’opera bloccata: «Colpa di chi non vigilò»
VENEZIA Tutto era nato a dicembre del 2009. «Durante la fase preliminare di scavo (...) sono stati rinvenuti diversi frammenti di eternit», aveva scritto l’impresa Sacaim al commissario. Nel febbraio successivo il disastro era già chiaro: «Il materiale inquinante si sta ritrovando in tutta l’area di cantiere e fino alla profondità di tre/quattro metri». Ma sarebbero serviti un altro paio d’anni per gettare la spugna, con la clamorosa risoluzione del contratto e lo stop ai cantieri. Ora, però, per il «buco» – di nome e di fatto – di quello che avrebbe dovuto essere il Nuovo Palazzo del
Cinema del Lido di Venezia per la grande festa dei 150 anni dell’Unità d’Italia, la magistratura presenta un salatissimo conto da pagare: più di 12 milioni di euro, da addebitare ai membri della gestione commissariale, al responsabile unico del procedimento e alla commissione tecnica, cioè a tutti quei soggetti che avrebbero dovuto vigilare e accorgersi che il progetto esecutivo aveva del tutto sottovalutato la possibilità di trovare l’eternit sotto terra.
Nelle scorse settimane il viceprocuratore regionale Giancarlo Di Maio, che insieme alla Guardia di Finanza ha portato avanti per quasi un decennio un’indagine complessa su migliaia e migliaia di pagine di documenti, ha notificato l’invito a dedurre a 12 persone, a cui contesta un danno erariale – diviso in parti uguali – di circa un milione a testa. Ora gli «indagati» potranno controdedurre, poi la procura deciderà chi mandare definitivamente a giudizio.
Il problema fu appunto l’eternit, di cui l’area del Lido si rivelò traboccante. Grazie anche a una perizia, la procura contabile si è convinta che il «peccato originale» fosse appunto nel progetto esecutivo, che non aveva previsto adeguati scavi archeologici e indagini finalizzate alla caratterizzazione del terreno da scavare. I campionamenti eseguiti, infatti, erano stati mirati alla ricerca di metalli e composti chimici organici, ma non all’amianto, come invece avrebbe dovuto suggerire la storia del piazzale, realizzato nel 1938 con un rialzo di tre metri sul precedente, con materiali di risulta. Degli oltre 30 milioni già spesi, per la procura ne sono contestabili 11,6, più uno per il progetto che – scrive il pm – fu «privo di utilità per una parte».