Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Sorpresa: l’aria che respiriamo è migliore
VENEZIA Il nuovo corso di Arpav, segnato dal direttore Luca Marchesi, si apre con una (prudente) buona notizia: l’aria che respiriamo sta migliorando. Nettamente. Potrà sorprendere nei lunghi mesi invernali scanditi dal «semaforo» dei blocchi al traffico ma, spiegano all’Agenzia regionale per l’ambiente, i numeri delle 43 centraline hi-tech non mentono. Dal 2005 al 2019 l’andamento delle medie annuali delle polveri sottili è calato quasi a picco. Sia per le centraline posizionate lungo le arterie più trafficate, sia per quelle «di fondo» che pesano quanti nanogrammi per metro cubo di polveri respiriamo. Per fare un esempio, nel 2005 le polveri da traffico di media erano a 60 nanogrammi per metro cubo (il valore limite è 40) mentre nel 2019 hanno superato di poco quota 30. L’anno di svolta è il 2012. Da quel momento in poi la media annuale non ha mai sforato i limiti di legge.
Restano invece sopra la soglia consentita (anche se di poco) i giorni di sforamento dei limiti in un anno. Però, anche qui, nel 2005 i giorni di aria avvelenata erano oltre 200, nel 2019 sono stati circa 60. A riempire le cronache, un decennio fa, erano poi le polveri «sottilissime», quel Pm 2,5 particolarmente insidioso per la salute ma anche in questo caso, dal 2012 la media annuale è entro i limiti di legge. «C’è chi ci scrive di aver misurato dati diversi con la propria centralina comprata su Amazon - sorride Marchesi - ma le centraline Arpav sono macchinari complessi di analisi chimica secondo parametri internazionali». E, non a caso, nel laboratorio Arpav di via Lissa a Mestre, arrivano campioni anche da altre 13 città italiane, non venete, inclusa la Taranto dell’Ilva. Tornando all’aria padana, la regione meno ventosa d’Europa, una delle più popolate e industrializzata, calano anche i livelli di biossido d’azoto e benzene. «Il tutto - spiega Marchesi - si lega al progredire della tecnologia». L’unico vero punto nero di questa analisi di lungo periodo è il benzo(a)pirene, un idrocarburo policiclico aromatico che l’Oms classifica come «cancerogeno certo» che tende a non calare nonostante nel 2019 sia rimasto entro i limiti di legge. Infine, sono letteralmente spariti, tanto da non poter più essere registrati, biossido di zolfo e monossido di carbonio. È stata l’occasione anche per ribadire che la nuvola velenosa che, senza pioggia, staziona sulla pianura padana ha una natura a mosaico. Il 9% delle polveri arriva dalle industrie, il 20% dall’agricoltura e dagli allevamenti (non a caso Arpav ha un bollettino meteo emesso dal centro di Teolo per fornire alle attività agricole le indicazioni sulle giornate più adatte per lo spargimento di letame e concime nei campi), il 24% arriva dal traffico e il 32% dal riscaldamento a biomassa. Sì, la combustione di legno e pellet che è cresciuta esponenzialmente in regione, inquina molto ma attenzione, dipende dal «mezzo». «È come per le auto - spiega l’assessore regionale all’Ambiente, Gianpaolo Bottacin - un diesel di ultima generazione inquina meno di auto teoricamente più eco friendly ma datate. Il Veneto è stata la prima regione a dotarsi di una classificazione delle stufe a pellet».
Notizie meno incoraggianti, invece, arrivano sui primi 45 giorni del 2020. La scarsità di precipitazioni ha portato a molti sforamenti nelle città venete. Se Belluno si ferma a 2, a Padova si arriva a contarne già 37, come a Mestre, Treviso arriva a 38 mentre Verona e Vicenza si fermano, rispettivamente, a 30 e 34. In attesa del rinnovo dell’accordo del Bacino Padano in previsione per il prossimo anno, la «ricetta» di Arpav la spiega Marchesi: «I trend di lungo periodo dimostrano l’efficacia delle politiche in atto. La qualità dell’aria è una questione complessa che non va semplificata, va gestita»..
Marchesi Questione complessa che non va semplificata bensì gestita