Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Lorenzoni, la sfida «Zaia è battibile ripagherò il Pd»
I dem candidano il docente e la sua rete civica «Sta nascendo qualcosa di mai visto prima»
Arturo Lorenzoni e la sua rete civica hanno incassato il tormentato sostegno del Pd e il professore può finalmente presentarsi come candidato del centrosinistra alle elezioni regionali: «Zaia è un grande comunicatore ma è battibile perché fa tante cornici ma dentro non c’è il quadro. Con la rete civica è nato qualcosa di mai visto prima. Troppo a sinistra? Sono un cattolico impegnato e ripagherò il Pd».
PADOVA Non si è trattato soltanto di scegliere un candidato: venerdì sera, in via Beato Pellegrino a Padova, il Pd ha deciso la rotta da seguire di qui ai prossimi anni (scissioni, ribaltoni e sconquassi vari permettendo). Basta con la stagione riformista, liberal, centrista aperta da Renzi con la cacciata della «Ditta» e in qualche modo portata avanti sul territorio dal segretario Alessandro Bisato; si torna al vecchio spirito progressista, ambientalista, movimentista e «di sinistra», insomma ai Ds più che alla Margherita.
«Una discontinuità forte» invocata dagli alfieri dell’area Orlando e argomentata in modo netto l’altra sera dall’ex deputata Vanessa Camani, dal presidente Giovanni Tonella e dal consigliere regionale Graziano Azzalin. Un’inversione di rotta che non poteva che realizzarsi con una spaccatura profonda: la candidatura del civico Arturo Lorenzoni è passata con 23 voti a favore, 5 contrari (capitanati dal capogruppo in Regione Stefano Fracasso, che pure voleva correre contro Zaia) e 12 astenuti. Il che significa che 17 votanti su 40 non volevano (non vogliono?) che il Pd porti l’acqua al vicesindaco di Padova.
Essenziale, per sbloccare a mezzanotte una situazione finita per ingarbugliarsi oltre ogni immaginazione, è stata l’astensione degli ex renziani di Base Riformista, che non hanno voluto votare contro «per non dilaniare la nostra comunità» ma che pure col deputato Gianni Dal Moro non hanno rinunciato ad un durissimo j’accuse nei confronti del nuovo gruppo dirigente, accusato di «fare trabocchetti», di aver «pervicacemente rifiutato le primarie» e infine di aver compiuto una forzatura per affermare la supremazia sul partito: «Non vi era consentito spaccare il partito in questo modo, eppure lo avete fatto e ora vi assumete una precisa responsabilità politica, quella di arrivare terzi alle elezioni, non solo dopo la Lega ma addirittura dopo Renzi e Calenda - ha attaccato Dal Moro -. Non siamo riusciti ad allearci con questi ultimi, con i Cinque Stelle, con gli autonomisti. Con chi abbiamo legato? Con la sinistra. E questo secondo voi è il posizionamento che ci farà vincere in Veneto?». Va detto che gli ex renziani si sono astenuti anche perché incapaci di esprimere nomi alternativi: evidentemente quello di Fracasso non li ha convinti, come non ha convinto Achille Variati, che Fracasso considerava a inizio corsa un suo grande sponsor e che invece in direzione ha finito per leggerne l’elogio funebre: «Lorenzoni è il nuovo baricentro politico» ha sentenziato il sottosegretario all’Interno.
Una discontinuità politica, si diceva, ma anche territoriale: finisce l’egemonia vicentina (rappresentata negli ultimi dieci anni proprio da Variati e Fracasso, ma anche da Alessandra Moretti, candidata nel 2015 contro Zaia, e dall’ex segretaria Rosanna Filippin) e si ripristina l’asse tra le antiche capitali della sinistra veneta, ossia Venezia e Padova, da cui provengono i due veri registi dell’operazione Lorenzoni: Andrea Martella, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, e Massimo Bettin, portavoce del sindaco di Padova Sergio Giordani. Bettin ha proiettato sul palcoscenico regionale il vicesindaco fin lì sconosciuto oltre i confini della città del Santo, suggerendo l’idea dell’asse civico (e risolvendo così alcuni complicati rebus in municipio); Martella ha gestito la partita lungo l’asse con Roma, con i complimenti di Nicola Zingaretti: «Bene, Lorenzoni è una figura indipendente e competitiva per vincere - commenta infatti il segretario nazionale. Grazie al gruppo dirigente, molto plurale, ma che ha saputo affrontare questo passaggio con grande intelligenza e spirito unitario. Ora tutti mobilitati per vincere». Martella ammette: «Quello di venerdì non è stato un passaggio facile, ma è coinciso con una svolta concreta, verso un partito aperto, in grado di ripristinare la sintonia con il variegato mondo della società veneta che non si riconosce in chi governa la regione da oltre 25 anni». D’accordo Bettin: «I nomi e i cognomi non sono tutto, quel che conta è che una comunità politica si è mostrata forte con scelte coraggiose e si fa perno di un disegno più ampio, protagonista di un nuovo schema di resistenza ai populisti».