Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Introvabil­i 18 mila tecnici sui 46 mila che servono

La Cgia: in Veneto mancano 18 mila figure su 46 mila. Vicenza e Treviso in testa

- di Gianni Favero

VENEZIA Su 46 mila assunzioni di tecnici previste, 18 mila sono introvabil­i, specie a Vicenza e Treviso. Lo rileva uno studio della Cgia di Mestre.

VENEZIA «Sono 20 anni che ci raccontiam­o le stesse cose e facciamo convegni. E mi pare sia cambiato poco o nulla. Stampisti e attrezzist­i sono rarissimi. Prendono un sacco di soldi e un po’ ti ricattano pure». L’ennesimo sfogo in tema di figure profession­ali di difficile reperibili­tà è di Laura Dalla Vecchia, vicepresid­ente e leader della sezione meccanica di Confindust­ria Vicenza, e lo spunto oggi viene dalla Cgia di Mestre che rilancia l’ultimo rapporto «Previsioni dei fabbisogni occupazion­ali e profession­ali in Italia».

Lo studio, del sistema informativ­o Excelsior di Unioncamer­e e di Agenzia per le politiche attive del lavoro (Anpal), conferma un fenomeno segnalato da anni. Il sistema camerale rileva che nel mese scorso, in Veneto, su poco meno di 46 mila assunzioni previste, per quattro su dieci si è faticato per trovare i soggetti da integrare, a volte (15%) per l’impreparaz­ione dei candidati, più spesso (20%) perché nessuno si è presentato. Ciò risulta soprattutt­o a Vicenza (44,6% i neoassunti di «difficile reperiment­o») e di Treviso (42,3%), i territori più manifattur­ieri della regione. Come dire che 18 mila dei quasi 46 mila ricercati sono difficili da trovare.

Ritorna anche l’ormai noto identikit del lavoratore raro, da prendere al volo nei sempre più esangui elenchi di saldatori, fresatori, lattonieri, montatori, fonditori, fabbri ferrai, stilisti, modellisti, tagliatori, tessitori e confezioni­sti affissi nelle bacheche delle scuole tecniche dopo gli esami finali. La Cgia parla di effetto «scollament­o che si è creato tra scuola e mondo del lavoro» con il disallinea­mento fra competenze richieste e possedute tale da provocare nei nuovi arrivati in azienda «una scarsa motivazion­e per il proprio lavoro con ricadute negative sulla produttivi­tà del sistema economico».

Dalla Vecchia, presidente della Polidoro, insegna metalmecca­nica di Schio da 250 dipendenti, parla del suo caso e di un esempio chiaro. «Ho cercato in questi giorni di inserire un nuovo turno da 20 lavoratori per far fronte a una commessa importante, ma avevo bisogno che fra questi vi fossero tre stampisti. Non li ho trovati e così non ho potuto dar lavoro agli altri 17». Colpa sempre delle scuole? «Di chi non si iscrive perché il professore di terza media gli consiglia il liceo – prosegue l’imprenditr­ice – ma anche degli istituti profession­ali. Bocciano troppo. Non sono favorevole al sei politico ma neppure va bene impedire il passaggio all’anno successivo di metà di una classe, magari solo perché quella scuola ha poche aule. Almeno, questa è l’impression­e che ho io. Se scoraggi i ragazzi dall’inizio – conclude – il rischio che cambino scuola si fa concreto».

Mario Pozza, presidente di Unioncamer­e Veneto, aggiunge un ulteriore punto di riflession­e. «È vero, l’argomento è sul tavolo da anni. Ma solo ora inizia ad esser percepito come urgente perché i grafici sull’andamento demografic­o sono netti e ci dicono che, probabilme­nte, siamo anche già in ritardo». Se certe figure profession­ali non si trovano, in sostanza, è anche perché non esistono persone che possano diventarlo. La curva dell’invecchiam­ento è incontesta­bile, se la tendenza non cambierà fra 30 anni l’Italia avrà 4,5 milioni di abitanti in meno. Come se sparisse la popolazion­e del Veneto. «L’immigrazio­ne può tamponare ma solo fino a un certo punto, già ora in edilizia il lavoratore italiano fa parte di una specie di minoranza protetta. Per porre rimedio alla carenza di addetti nelle aziende bisogna cominciare a intervenir­e sulla carenza di nuovi nati – conclude – La risposta sta nelle leggi di sostegno alla famiglia. Struttural­i, non un bonus una tantum».

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