Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
LA DOPPIA PANDEMIA
Per capire bene cosa sta accadendo oggi, ora che il Coronavirus è arrivato «tra noi» in Veneto, provocando la prima vittima in Italia, bisogna prima guardare indietro. In una prospettiva lunga duecentomila anni. E’ l’età della nostra specie, un tempo enorme considerato che l’epoca storica, quella che studiamo a scuola, comincia 3500 anni fa. E tutti quegli anni passati con una vita media di 25 anni, per colpa del fatto che il 40% dei nostri avi non arrivava a 15 anni. Morivano giovani non tanto perché cacciati da carnivori predatori, ma perché infetti da batteri e virus. E a cominciare da diecimila anni fa, con l’invenzione di agricoltura e allevamento, la mortalità media è persino aumentata, a causa del formarsi di agglomerati umani e della costante vicinanza agli animali di allevamento: malattie infettive, per lo più virali, trasmesse da ospiti animali all’uomo: una novità contro la quale il nostro sistema immunitario non era preparato. Fino a quando, in tempi relativamente recenti, qualcuno, applicando il metodo scientifico, non s’inventa prima i vaccini e poi gli antibiotici. La vita media raddoppia e più, ma il nostro cervello rimane quello dell’uomo delle caverne. E’ un cervello addestrato ad essere terrorizzato dalla morte invisibile da castigo degli dei: per decine di migliaia di anni, era davvero difficile immaginare che fossero microbi invisibili a compiere la strage. Poi, venne il dubbio che invece fossero gli uomini a propagare il morbo: e nacque il concetto di «untore»: siamo nel Trecento e ovviamente, guarda caso, i primi a venire incolpati di questo misfatto furono gli ebrei. Solo a fine ottocento, due ricercatori di origine ebrea, Robert Koch e Paul Ehrlich, dimostrarono che le malattie infettive le producevano i germi e che si potevano combattere efficacemente con armi chimiche, i farmaci.L’irrazionalità della nostra reazione alle epidemie emerge sempre di più in queste ore con quello che sta accadendo anche nel nostro paese. Ci dicono gli infettivologi cinesi che il virus ha una mortalità del 2-2,3%, molto al di sotto di quella (15%) dell’influenza spagnola del 1918, la quale fece 50 milioni di morti cancellando dal 3 a 6% della popolazione mondiale.
Purtuttavia, il 2% è un valore significativo, e tale da allertare l’Organizzazione Mondiale della Sanità che ha diffuso le misure - semplici che è necessario intraprendere per limitare la pandemia. Il governo italiano ha recepito in modo restrittivo queste indicazioni, e personalmente credo abbia fatto molto bene. Ma adesso, da oggi, accadrà in Veneto e in Lombardia e sta cominciando ad accadere qualcosa di altrettanto inquietante rispetto al nuovo ceppo di coronavirus. Qui protagonista è una piccola parte del nostro cervello: si chiama amigdala, che in greco vuol dire mandorla, ed è proprio dentro, chiusa da milioni di anni di evoluzione nella parte centrale dell’encefalo. L’amigdala controlla le forti emozioni, fra le quali la paura, e i famosi duecentomila anni l’hanno addestrata a eccitarsi quando capiamo che la gente muore in modo invisibile, per colpa degli dei, o degli untori, o - poco importa all’amigdala di un virus. Allora la mandorla fa cose stupefacenti: ti fa confondere, per esempio, «i cinesi in generale» con «i cinesi del Wuhan che sono approdati in Italia dacché c’è stato l’outbreak del coronavirus». E’ bene quindi ricordare a tutti quel che è essenziale fare per ridurre il rischio del contagio, mentre ogni altra azione non servirebbe in alcun modo a ulteriormente ridurre questo rischio. Il virus colpisce le vie respiratorie: febbre, tosse e respiro affannato sono i suoi sintomi. Questi sono tuttavia anche i sintomi di forme influenzali più o meno complicate da forme batteriche, comuni in questa stagioni. Se si accusano questi sintomi, isolarsi a casa anche dai familiari e chiamare il medico: ci saranno migliaia di «falsi positivi», come li chiamiamo, ma è adesso ciò che va fatto. La prima regola è lavare molto frequentemente le mani, con sapone e ogni volta per almeno venti secondi; se non si può farlo, detergerle con un disinfettante che contenga la maggioranza di alcool. Ciò perché le mani sono la nostra interfaccia col mondo. Di conseguenza: mai toccare gli occhi, il naso e la bocca, punti di entrata del virus, con le mani sporche. La seconda regola: quando si starnutisce, usare sempre un fazzoletto e gettarlo via subito dopo. Infine: è adesso opportuno pulire o disinfettare gli oggetti che si toccano più di frequente con lo stesso tipo di disinfettante. Se si dovesse essere in vicinanza di un infetto conclamato, mantenere una distanza di due metri da lei o da lui. Al momento ogni altra misura, ogni idea personale rispetto a queste semplici norme, non diminuirebbe oltre il nostro rischio: sarebbe un prodotto di quella piccola mandorla del nostro cervello, e non aiuterebbe né noi né gli altri.