Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Vita da reclusi nella «Wuhan» del Veneto
Nella Wuhan veneta chiudono i negozi, la gente non può andare a lavorare. Sospesi gli eventi Vietata la sosta dei bus e anche le funzioni religiose
VO’ (PADOVA) Dentro al supermercato «Ttb» di Vo’ Euganeo, le commesse indossano guanti e mascherine. «Più che altro per precauzione. Sa com’è, qui passa tanta gente...» spiega Ketty Scarpariolo. È la responsabile del punto vendita che si trova appena fuori dal paese della Bassa Padovana finito nel frullatore dell’allarme coronavirus.
A una manciata di chilometri dal negozio, abitava Adriano Trevisan, il primo italiano ucciso dall’infezione. E ancora più in là, nella compagna di vigneti di Merlot e Tocai, c’è la casa del suo amico Renato che ora è ricoverato nel reparto di Malattie infettive. Con lui ci sono i componenti di entrambe le famiglie, risultati positivi al test. Risultato: appena 3.300 anime, e Vo’ già conta dieci contagi.
Eppure, oggi nel supermarket gli affari vanno meglio del solito. «C’è qualche cliente in più: alcuni preparano le scorte alimentari per affrontare un’eventuale quarantena».
All’esterno, una signora sta stipando l’auto di borse cariche di cibo. «Pasta, carne, tonno in scatola...» elenca. «E poi, acqua, acqua, acqua...». Decine di bottiglie. «Perché nessuno può fare previsioni e, nel dubbio, mi sento più tranquilla se so di avere la dispensa piena».
I supermercati sono tra i pochi esercizi «di pubblica utilità» a poter rimanere aperti. Con un’ordinanza, il sindaco Giuliano Martini ha isolato il paese per due settimane, ordinando ai commercianti di abbassare le saracinesche e ai residenti di non andare al lavoro. La prefettura ha chiesto al Comune di predisporre un piano nel caso si fosse costretti a dire stop alla circolazione. Il consiglio alla popolazione, è di rimanere in casa.
In questa Wuhan in salsa veneta, dove uno starnuto fa tremare anche i più duri, tra le poche insegne illuminate c’è quella della farmacia: anche qui, il dottore indossa la mascherina e i clienti vengono tenuti a «distanza di sicurezza» per evitare contagi. Ma nella piazza del municipio ci si ritrova completamente soli: sospese le lezioni a scuola, le attività sportive e le manifestazioni che erano previste nel fine settimana, vietato perfino agli autobus di fermarsi in paese e al parroco di celebrare messa. Vo’ è un paese fantasma.
Chiusa la rivendita di tabacchi, chiuso il distributore e la filiale della banca, il centro estetico dove le signore si vanno a rifare le unghie e anche la Nuova Locanda al Sole, quella frequentata da Trevisan, che ci andava a giocare a carte con gli altri anziani del posto o a guardare le partite di calcio. Ci sarebbe stato anche la sera del 9 febbraio: alla tivù davano Inter-Milan, il derby. «E pare siano passati di lì anche due cinesi che lavorano in un laboratorio tessile», azzarda il sindaco Martini. Sono i due orientali che ieri sono stati sottoposti ai controlli con altri sei colleghi. «Un testimone dice che l’11 febbraio uno di quegli otto stranieri, all’interno del capannone, non la finiva più di tossire...».
Tutta Vo’ sembra sospesa in un limbo, nell’attesa di sapere se il cinese fosse alle prese soltanto con una brutta influenza o se sia effettivamente lui il paziente-zero che ha trasmesso il coronavirus al povero Trevisan e a Renato, uno dei suoi compari nelle serate passate alla locanda giocando a briscola.
«Aspettiamo notizie, non facciamo drammi e guardiamo al futuro» scrolla le spalle Mario Del Betto, 79 anni, agricoltore. Era anche lui un amico della vittima: «In paese ci si conosce tutti, ma ero tra quelli che si dava appuntamento al bar per giocare a carte e fare qualche torneo». Ieri mattina è andato a lavorare nei campi, come sempre. «E adesso ci torno, fino a sera: devo sistemare le vigne». A casa resta sua moglie «che fa le faccende, prepara da mangiare e, se ho bisogno, mi dà una mano in cantina».
A Betto non era mai capitato di vivere in un paese blindato. Eppure non si scompone più di tanto: «Cerchiamo solo di uscire di meno. Mi dispiace ma se succedono certe cose e non ci si può fare nulla vada come deve andare».
Nei campi
Un anziano agricoltore rifiuta l’isolamento «Me ne torno a lavorare tra i campi»