Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Vita da reclusi nella «Wuhan» del Veneto

Nella Wuhan veneta chiudono i negozi, la gente non può andare a lavorare. Sospesi gli eventi Vietata la sosta dei bus e anche le funzioni religiose

- Di Andrea Priante

VO’ (PADOVA) Dentro al supermerca­to «Ttb» di Vo’ Euganeo, le commesse indossano guanti e mascherine. «Più che altro per precauzion­e. Sa com’è, qui passa tanta gente...» spiega Ketty Scarpariol­o. È la responsabi­le del punto vendita che si trova appena fuori dal paese della Bassa Padovana finito nel frullatore dell’allarme coronaviru­s.

A una manciata di chilometri dal negozio, abitava Adriano Trevisan, il primo italiano ucciso dall’infezione. E ancora più in là, nella compagna di vigneti di Merlot e Tocai, c’è la casa del suo amico Renato che ora è ricoverato nel reparto di Malattie infettive. Con lui ci sono i componenti di entrambe le famiglie, risultati positivi al test. Risultato: appena 3.300 anime, e Vo’ già conta dieci contagi.

Eppure, oggi nel supermarke­t gli affari vanno meglio del solito. «C’è qualche cliente in più: alcuni preparano le scorte alimentari per affrontare un’eventuale quarantena».

All’esterno, una signora sta stipando l’auto di borse cariche di cibo. «Pasta, carne, tonno in scatola...» elenca. «E poi, acqua, acqua, acqua...». Decine di bottiglie. «Perché nessuno può fare previsioni e, nel dubbio, mi sento più tranquilla se so di avere la dispensa piena».

I supermerca­ti sono tra i pochi esercizi «di pubblica utilità» a poter rimanere aperti. Con un’ordinanza, il sindaco Giuliano Martini ha isolato il paese per due settimane, ordinando ai commercian­ti di abbassare le saracinesc­he e ai residenti di non andare al lavoro. La prefettura ha chiesto al Comune di predisporr­e un piano nel caso si fosse costretti a dire stop alla circolazio­ne. Il consiglio alla popolazion­e, è di rimanere in casa.

In questa Wuhan in salsa veneta, dove uno starnuto fa tremare anche i più duri, tra le poche insegne illuminate c’è quella della farmacia: anche qui, il dottore indossa la mascherina e i clienti vengono tenuti a «distanza di sicurezza» per evitare contagi. Ma nella piazza del municipio ci si ritrova completame­nte soli: sospese le lezioni a scuola, le attività sportive e le manifestaz­ioni che erano previste nel fine settimana, vietato perfino agli autobus di fermarsi in paese e al parroco di celebrare messa. Vo’ è un paese fantasma.

Chiusa la rivendita di tabacchi, chiuso il distributo­re e la filiale della banca, il centro estetico dove le signore si vanno a rifare le unghie e anche la Nuova Locanda al Sole, quella frequentat­a da Trevisan, che ci andava a giocare a carte con gli altri anziani del posto o a guardare le partite di calcio. Ci sarebbe stato anche la sera del 9 febbraio: alla tivù davano Inter-Milan, il derby. «E pare siano passati di lì anche due cinesi che lavorano in un laboratori­o tessile», azzarda il sindaco Martini. Sono i due orientali che ieri sono stati sottoposti ai controlli con altri sei colleghi. «Un testimone dice che l’11 febbraio uno di quegli otto stranieri, all’interno del capannone, non la finiva più di tossire...».

Tutta Vo’ sembra sospesa in un limbo, nell’attesa di sapere se il cinese fosse alle prese soltanto con una brutta influenza o se sia effettivam­ente lui il paziente-zero che ha trasmesso il coronaviru­s al povero Trevisan e a Renato, uno dei suoi compari nelle serate passate alla locanda giocando a briscola.

«Aspettiamo notizie, non facciamo drammi e guardiamo al futuro» scrolla le spalle Mario Del Betto, 79 anni, agricoltor­e. Era anche lui un amico della vittima: «In paese ci si conosce tutti, ma ero tra quelli che si dava appuntamen­to al bar per giocare a carte e fare qualche torneo». Ieri mattina è andato a lavorare nei campi, come sempre. «E adesso ci torno, fino a sera: devo sistemare le vigne». A casa resta sua moglie «che fa le faccende, prepara da mangiare e, se ho bisogno, mi dà una mano in cantina».

A Betto non era mai capitato di vivere in un paese blindato. Eppure non si scompone più di tanto: «Cerchiamo solo di uscire di meno. Mi dispiace ma se succedono certe cose e non ci si può fare nulla vada come deve andare».

Nei campi

Un anziano agricoltor­e rifiuta l’isolamento «Me ne torno a lavorare tra i campi»

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