Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Venezia, una storia social
Federico Blumer, 100mila follower su Facebook, racconta episodi e curiosità della Serenissima nel canale «Il viaggio di scoperta»
Ca’ Dario non porta sfortuna. Nonostante gli eventi sinistri (ultimo il suicidio di Raul Gardini quando ne era proprietario) che hanno contraddistinto questo palazzo un po’ storto e un po’ folle sul Canal Grande, Ca’ Dario dovrebbe essere riconosciuta come simbolo di pace anziché di malaugurio; il suo ricchissimo proprietario, Giovanni Dario, fu infatti decisivo per un trattato con i turchi nel 1479 che salvò i commerci della Serenissima. È l’inizio del 2018: Federico Blumer pubblica tre video, diversissimi tra di loro. Uno su la Quinta sinfonia di Beethoven e i Simpson, uno sulla Madonnina di Milano, uno – appunto – su Ca’ Dario. Duomo e Homer non bucano; Venezia, invece, riceve migliaia di like. È un segno inatteso, per Federico. Venezia è un pezzo della sua vita che aveva quasi rimosso. Classe 1986, varesino, Blumer era arrivato in città dopo il liceo classico per studiare archeologia a Ca’ Foscari, ci era stato sei anni («il tempo per prendere una laurea triennale») lavorando come maschera e poi caposala alla Fenice («dove ho capito che la cultura si può sostenere economicamente»). Ma poi Venezia gli è sembrata stretta, piccola, e se n’è andato, per quasi dieci anni. Ha fatto il producer per Sky per un canale di musica classica, ma anche Milano ha i suoi difetti, e allora ha cambiato ancora e «da solo, lavorando sei mesi come muratore», si è ristrutturato la casa della nonna a Selvino, un paese di duemila anime, per farne un bed&breakfast «diverso, che raccontasse la valle». Da due anni, invece, Federico Blumer, capelli ricci e baffi, giacca e cravatta o maglioni colorati, è «Il viaggio di scoperta» un canale Facebook e instagram (da poco su youtube) che di Venezia racconta aneddoti, sfaccettature e grandezza. Nella tradizione dei narratori della città, da Tassini a Zorzi, da Fugagnollo a Toso Fei, Blumer introduce l’innovazione del racconto video, che implica scrittura, regia, interpretazione. Aggiunge la sua freschezza, la teatralità, il linguaggio (il suo motto è il non sobrio «che figata!»), con lo scopo di rendere avvincenti, vicini, capaci di attualissime lezioni le vicende dei Dogi, il Morosini, Vettor Pisani, il trafugamento del corpo di San Marco, e poi la farmacopea medievale, ma anche la cucina veneziana di oggi, le sarde e le seppie, le grandi imprese dei Re del Remo.
Dopo un paio di mesi dal primo video, Blumer riprende casa in città, ai Frari, dove adesso vive. Raggiunge centomila follower, diventa una piccola icona veneziana, facebook lo studia e lo equipara a youtuber da milioni di seguaci per il radicamento locale del suo pubblico e per la vocazione qualitativa della sua proposta. «Mi mantengo con collaborazioni, promozione di eventi culturali, studio la possibilità di contenuti premium».
A Venezia vuole restare. A Venezia vuole contribuire sempre più. «Non è sempre facile. Quando parli di storia, di tradizioni - confessa - ottieni sempre un consenso unanime. È invece molto più divisivo affrontare la situazione attuale della città». Un suo video, «Tutta la verità sull’acqua alta», realizzato subito dopo il 12 novembre, mostrava una popolazione fiera, che reagisce velocemente al disastro, che sa convivere con l’acqua alta, in un periodo in cui, per negozi e strutture ricettive, il tono apocalittico con cui la città era descritta dai giornali è stato un ulteriore ostacolo alla ripresa. Nella vicinanza della tragedia, tuttavia, alcuni hanno contestato che il video minimizzasse il dramma, altri hanno stigmatizzato la collaborazione con ConCave, consorzio veneziano per la vendita di alberghi. «La mia intenzione era dare un segnale positivo, ma mi sono reso conto che bisogna prestare attenzione quando si parla di Venezia, come se ci fossero spesso due Venezie contrapposte, che invece dovrebbero dialogare di più. Ma sono sicuro che la direzione giusta sia quella di parlare anche del presente, del futuro di questa città. In fondo, la capacità innovativa è proprio la lezione Venezia, la necessità di trovare continuamente un punto di incontro tra commercio e benessere».