Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Quella corsa alla spesa per sentirsi più sicuri «Lo sfogo nel carrello»
ALBETTONE (VICENZA) Da venerdì notte si vive nel terrore, ad Albettone, comune di duemila abitanti del Basso Vicentino.
Troppo esigua la distanza da Vo’ Euganeo, il confinante paese padovano della prima vittima italiana di coronavirus, Adriano Trevisan, per poter scongiurare la diffusione di paure spesso incontrollabili. Come il tremito che sabato pomeriggio ha colto una cliente quarantenne de Il Punto, l’unico supermercato di Albettone, accorsa come tanti a fare la spesa esorbitante di chi teme di finire in quarantena da un momento all’altro, seguendo la stessa sorte di quelli di Vo’. «Non riusciva a darsi pace – racconta il titolare, Riccardo Marin – sembrava fosse venuta qui più per sfogarsi che per riempire il carrello di latte a lunga conservazione, pasta e cibo in scatola, come fanno tutti da quando c’è questa paura della malattia, ma anche dell’isolamento. Non è stato facile calmarla».
«In realtà, è da quando abbiamo avviato questo esercizio in una zona così poco servita, che svolgiamo soprattutto un ruolo sociale – aggiunge il padre, Diego Marin – e la vicenda del coronavirus lo dimostra una volta per tutte». Verità toccata con mano dai Marin anche ieri mattina, quando le sirene spiegate di ambulanze e mezzi dei carabinieri hanno attraversato il paese per prelevare il presunto «paziente zero» dell’epidemia, un agricoltore residente nella frazione di Lovertino. Falso allarme, si viene a sapere in serata, ma sufficiente per generare rabbia e disperazione gratuite, quanto inevitabili. «Domenica sera – racconta ancora Diego Marin – prima di sentirsi la febbre, quel nostro compaesano è stato al bar assieme a vari conoscenti, per cui si può capire che qualcuno di questi ha dato i numeri quando ha appreso del suo ricovero».
«Ma questo non è un paese di untori» è lo sfogo del sindaco Joe Formaggio prima di chiudersi in municipio a fare il punto al telefono con i dirigenti dell’Asl. Il termine «untori», usato ai tempi delle antiche pestilenze per indicare, e magari giustiziare, i pazientizero dell’epoca, è un’altra spia della dramma collettivo in cui è precipitato il paese. Forme di disagio note a Catia Migliorin, la farmacista di Albettone: i clienti devono entrare uno alla volta, per motivi di igiene e privacy nello stesso tempo. «Non solo si presentano al banco ma chiamano al telefono a qualsiasi ora – racconta – e quasi mai per medicine. Vogliono consigli, chiarimenti e, soprattutto, ascolto. C’è perfino chi passa a domandare se fa bene ad andare in vacanza in Portogallo, perché l’ha programmata da un pezzo e adesso non sa se magari all’aeroporto lo bloccano, visto che è italiano».
«Di sicuro Albettone è diventato un posto dove da una settimana a questa parte si dorme pochissimo – conclude la dottoressa Migliorin. - La paura del coronavirus tiene svegli per un sacco di motivi, magari perchè uno ha ottant’anni e continua a tossire, per cui ci chiedono tisane o prodotti naturali che possano facilitare il sonno». Insonni sì, ma poco inclini ai contatti, per paura che si trasformino in contagi. Lo confermano al bar All’Alpino, dove per effetto del coronavirus chiudono anche alle undici di sera. «Cosa impensabile fino a una settimana fa – rivela la titolare, Laura Rebuffo – visto che qua siamo sempre stati abituati ad avere avventori fino a mezzanotte passata».
«Se volete saperlo, anch’io ho un incubo tutto mio – aggiunge Idelma Fontana, seduta a un tavolo del locale – e riguarda il mio negozio di parrucchiera a Zovon, una frazione di Vo’ Euganeo. Ovviamente adesso è chiuso per quarantena, e io mi chiedo ogni giorno quando potrò riaprirlo, e quanti soldi ci avrò rimesso, nel frattempo».