Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Nei locali con il metro in mano. «Ci proviamo». «Impossibile»
Padova, dubbi e ironie nei locali del centro
PADOVA «Matti. I xe tuti mati». Seduto al Caffè Pedrocchi, un signore sulla settantina stacca gli occhi dal giornale solo per guardarsi intorno. Ha l’aria sconsolata.
Alle 13.30 di un giorno feriale, nel locale-simbolo di Padova dei fantomatici ispettori ministeriali non avrebbero neppure bisogno di misurare la distanza che separa gli avventori: in tutto il salone, si arrivano a contare sì e no cinque clienti. Lo spazio tra l’uno e l’altro, lo fanno intere file di tavoli vuoti. Complice la chiusura di scuole e università, il coronavirus ha svuotato il centro. Con i ristoranti deserti, bisogna entrare nei bar (che pure hanno visto dimezzati gli affari) per sperimentare - metro alla mano - se qualcuno almeno ci stia provando a metterlo in pratica, questo benedetto decreto del governo che impone in tutto il Veneto «lo svolgimento delle attività di ristorazione, bar e pub a condizione che il servizio sia espletato per i soli posti a sedere e che (...) gli avventori siano messi nelle condizioni di rispettare la distanza tra loro di almeno un metro».
In Piazza delle Erbe, di fronte alla scalinata di Palazzo della Ragione, l’ucraina Alina Martin discute il prezzo di una moka con la cameriera del Goppion Caffè. La trattativa procede a bassa voce e le distanze, inevitabilmente, si riducono. Un metro? Macché, trenta centimetri al massimo. L’idea di aver infranto una norma a salvaguardia della salute pubblica non le passa neanche per la testa. «Come dovrei fare a informarmi sul prezzo di un prodotto, urlando?», chiede Alina. «Mi pare tutto assurdo». Il titolare si chiama Massimo Barbiero. «Ho sei dipendenti e il bancone più grande tra quelli presenti in tutti i locali della zona. È chiaro che diventerebbe impossibile muoversi qui dentro». Due funzionari di banca chiacchierano sorseggiando un caffè. Vicini. Il metro lo certifica: troppo vicini. «Se l’unico modo per convincere le persone a non rintanarsi
Il cliente Se l’unico modo per convincere le persone a non rintanarsi in casa, allora va bene: facciamolo
in casa è tenere le distanze, allora va bene, facciamolo». L’istituto di credito per il quale lavora, già ci prova: «In ufficio dobbiamo stare a due metri di distanza dai colleghi. Per ora ci riusciamo solo perché siamo rimasti in pochi: molti dipendenti stanno lavorando da casa».
Prima di uscire dal bar, salutiamo. «Non dovremmo stringerci la mano», osserva il bancario. L’Oms dice che si può «solo se entrambe le persone si sono lavate le mani prima, perché soltanto un lavaggio accurato è una protezione affidabile contro le malattie virali». Ma visto che nessuno si deterge le mani esattamente l’attimo prima di stringerne altre, ha ragione lui.
Se al Goppion il rispetto del decreto è di difficile applicazione, nel vicino bar «Al cantòn» girare con il metro in mano diventa un esercizio di inca
stri. Come suggerisce il nome, il locale è molto piccolo e per non violare la prescrizione, probabilmente i clienti dovrebbero darsi il turno: fuori uno, dentro il prossimo. «È chiaro che anche nel rispettare le indicazioni del governo, servirebbe un po’ di buonsenso» chiosa Anna Scaranto, una giovane commessa in pausa-caffé. Ogni tanto entra qualcuno con indosso la mascherina. «Un cliente l’altro giorno mi ha chiesto di servirlo con il bicchiere usa-e-getta», ammette il titolare, Matteo Galante. «Per quel che posso, li assecondo purché si sentano a loro agio. Magari non potrò garantire un metro di distanza tra le persone, ma intanto ho aumentato i livelli di igienizzazione di tutte le superfici...».
C’è anche chi prova a regolare gli ingressi. A due passi dal Pedrocchi, sulle vetrine della filiale di una banca, un cartello avverte: «L’accesso sarà consentito a piccoli gruppi e solo per il tempo strettamente necessario alle operazioni bancarie e in numero non superiore ai colleghi al momento disponibili». Peccato che, nella piccola area riservata agli sportelli bancomat, almeno sei risparmiatori stiano attendendo il proprio turno. Non resta che restare fermi, in piedi, sperando che a nessuno venga in mente di starnutire.
«Mai vista una cosa del genere», scrolla le spalle Francesco Sabbadin, che da vent’anni gestisce l’edicola della piazzetta. «La gente ha paura, se ne sta tappata in casa. E allora, sapete che faccio? La distanza me la creo da solo: chiudo due o tre giorni e vado in vacanza. Magari, quando ritorno scopro che tutto è tornato come prima».