Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
A MISURA DI DROPLET
Misurare il droplet; assicurarsi che le persone stiano sufficientemente a distanza, a prova di droplet.
Droplet è la nuova parola da cui dipende la vita sociale di tutti noi, da oggi a non si sa quando. Una vita (per restare in vita) a prova di droplet, dunque, che è poi la gocciolina invisibile di saliva che ciascuno di noi emette anche solo quando parla, figurarsi se tossisce o starnutisce. Ma in inglese, al solito, suona meglio, conferisce quel sapore hollywoodiano all’allerta coronavirus. La parola droplet è entrata anche nel decreto del governo che ha prorogato e rafforzato le misure di contenimento del contagio. Il droplet, ci hanno detto, è misurato nella distanza di un metro. Un metro da mettere tra noi e il Covid-19, un solo metro tra continuare a condurre una vita più o meno normale o essere inserito nel girone dantesco dei «tamponati» e, nel peggiore dei casi, dei «quarantenati». Ma come misurare quel metro? Nell’uomo Vitruviano di Leonardo da Vinci il braccio è in rapporto a 1/3 con l’altezza. L’altezza media di un giovane maschio italiano (a oggi) è di circa 178 cm, quindi un braccio medio, a voler dar credito a Leonardo e alle statistiche, è circa 59 cm (anche il «braccio» come unità di misura era calcolato in poco più di 59 cm). Per le donne, ovviamente, qualcosa di meno (ma in questo caso non è certo un tema di discriminazione di genere).
Al bar, d’ora in poi e di certo fino all’8 marzo, si consiglia quindi di stendere i propri arti superiori a destra e sinistra, come dovessimo spiccare il volo, e aggiungere a quella distanza dai 40 ai 50 centimetri. Eccola, la misura anti droplet. Chiaro che in questa condizione per fare conversazione sorseggiando un caffè sarà meglio parlarsi direttamente con il telefono o via whatsapp, tanto in fondo è già così da tempo. Ancora di più al ristorante, con gli ipotetici commensali costretti a pasteggiare a tavoli diversi o alle opposte estremità, come i nobili di una volta. E che dire di musei e biblioteche, tuttavia almeno qui ci si potrà nascondere dietro a un tattico muro di libri.
Per non parlare dei negozi. Già si può immaginare il «furbetto del droplet» che, approfittando della distanza di sicurezza applicata dai clienti scrupolosi, si infila nella coda per passare davanti. E sugli autobus? Capienze abbattute del 50%, ma i mezzi quelli sono, agli esclusi toccherà andare a piedi. O, peggio, in auto dove però la distanza di sicurezza dovrebbe essere sempre rispettata, coronavirus o no.
E i controlli, ci si chiede in queste ore? Chi dovrà verificare il rispetto del metro di distanza? Difficile credere che vigili urbani e poliziotti potranno essere in grado di farlo. Appare così chiaro che, salvo smentite, la misura anti droplet contenuta nel decreto del governo ha un sapore più di raccomandazione che di obbligo ai sensi di legge. Alla fine, sta a ciascuno di noi scegliere di adeguarsi per proteggere sé e gli altri. A proposito di droplet, c’è un film che mi è tornato in mente: si intitola «A un metro da te», tratto dall’omonimo romanzo di Rachael Lippincot. È la storia di un gruppo di adolescenti affetti dalla fibrosi cistica costretti a sopravvivere, per vivere, evitando contatti ravvicinati, pur essendo ricoverati nella medesima struttura. Ma l’amore tra due di loro immancabilmente sboccia e la ragazza protagonista, al primo appuntamento, si presenta con una bastone lungo, appunto, un metro. La misura della nostra vulnerabilità.