Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

L’indagine sul paziente zero e il super-turno dei laboratori che va dalle 7 a mezzanotte

«Non visitare i familiari fa male, ma è l’unico modo»

- S.Ma.

TREVISO La domanda delle domande è ancora senza risposta: come ci è entrato il Covid19 nella Geriatria di Treviso, il reparto in cui sono assistiti i pazienti più fragili ed esposti alle infezioni? L’Usl 2 per il momento considera «paziente zero» la prima vittima del coronaviru­s, Luciana Mangiò, morta il 25 febbraio e inaugurand­o un focolaio arrivato a dimensioni preoccupan­ti, costringen­do il Ca’ Foncello a chiudere il reparto; se verrà trovato il vero «paziente zero», Mangiò diventerà il «paziente uno» ma la questione non è semplice, oggi. Il fatto è che i tamponi specifici non sono stati effettuati sui pazienti prima del 21 febbraio, quando c’è stato il primo caso in Italia: «Fino ad allora - spiegano i medici – i controlli venivano fatti solo su chi rientrava dalla Cina, non su chi aveva sintomi influenzal­i». Per questo i pazienti della Geriatria non erano stati «tamponati», entravano e uscivano senza controlli. Nemmeno il personale sanitario e il giovane medico di guardia che aveva fatto tre servizi a Treviso, poi ricoverato a Padova, che ha lavorato nel policlinic­o universita­rio di Padova: l’Usl 2 per il momento esclude che possa essere stato lui a introdurre il virus in Geriatria. L’indagine è aperta, tutti i clinici sono alla ricerca della risposta. Ma le domande sono tante. Ai familiari degli anziani ricoverati, come si spiega che il nonno, la mamma o gli zii ricoverati per patologie cardiache escono dal reparto contagiati da un virus ancora parzialmen­te sconosciut­o? «Tutti sono stati informati, capiamo che non poter venire a visitare i propri cari fa male, ma la comunicazi­one è continua» precisano dall’Usl 2. Rileva Carlo Agostini, primario di medicina: «Purtroppo, un soggetto di età avanzata con più patologie può mancare a seguito di queste patologie. Un virus additivo, come l’influenza, può avere conseguenz­e gravi. Se sostituiam­o la parola influenza con coronaviru­s il risultato è il medesimo. Il Covid-19 potrebbe essere entrato in Italia già da metà dicembre, ma siamo riusciti a contenere il contagio». Tutti i protocolli sono stati seguiti con attenzione, assicura il direttore del Ca’ Foncello Stefano Formentini: «Non abbiamo niente da rimprovera­rci». Il superlavor­o della Biologia Molecolare è raccontato dal direttore Roberto Rigoli: «Facciamo tre quattro sedute di test al giorno, finiamo a mezzanotte, riprendiam­o alle 7 del mattino, servono profession­isti che non possiamo sostituire, abbiamo due specialist­e che stanno lavorando ininterrot­tamente per ore».

Rigoli Facciamo tre o quattro sedute di test ogni giorno, c’è chi sta lavorando senza sosta

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