Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
I NODI GIURIDICI DELLA CRISI
Tra i mille problemi che la pandemia ci costringe ad affrontare, ve n’è uno che impatta non poco sulle nostre imprese: un enorme danno economico è, infatti, quello che deriva dalla difficoltà di gestire giuridicamente un evento che, fino a ieri, era del tutto imponderabile nelle quotidiane contrattazioni. Certo, quando è in ballo la salute, tutto il resto passa in secondo piano: però il tema del coronavirus inteso come «sopravvenienza passiva» non è di poco conto. Mi spiego meglio: una quantità di obblighi contrattuali si trovano improvvisamente caduti nell’incertezza per l’obiettiva difficoltà di far fronte a quegli stessi impegni.
Per esemplificare: quante sono le aziende che riescono ad assorbire gli ordini di acquisto fatti prima della crisi? Per non parlare poi dei contratti di lavoro appesi a un filo, in specie nell’ambito del turismo e della ristorazione: quando è lecito licenziare? Capita poi di leggere della diffidenza diffusasi nel mondo per tutto ciò che è made in Italy: ebbene, al di là delle merci che restano sugli scaffali, non c’è ora il rischio che vengano messi in discussione gli investimenti esteri verso le nostre imprese?
In qualche caso, si comincia già a vedere invocata una ragione di «forza maggiore» per non far fede a contratti conclusi: potrebbe capitare, per esempio, che un investitore che aveva sottoscritto un impegno per l’acquisizione di una partecipazione in un’azienda della «zona rossa» ora intenda sottrarsi a quell’impegno. Eccoci dunque al coronavirus come causa (fondata o infondata?) per un esonero di responsabilità. Nel mondo delle fusioni e acquisizioni, c’è forse materia per una clausola «MAC»: e l’acronimo sta per Material Adverse Change. Sarebbe a dire: non pago perché, adesso, tutto è cambiato. In uno scenario già delicato, per un territorio devastato dal terremoto delle banche, una simile situazione di impasse nel funzionamento delle più tradizionali regole che disciplinano le contrattazioni, nazionali e internazionali, potrebbe rivelarsi esiziale. C’è il rischio che, entro breve tempo, sul tavolo dei nostri giudici finiscano controversie che hanno un sapore più filosofico che giuridico: era possibile o meno attenersi agli impegni presi prima del coronavirus? Potere, volere e «forza maggiore»: ci sono tutti gli ingredienti per una tragedia. Come per la patologia che ora ci sta più a cuore – ossia quella che colpisce le persone in carne e ossa – così per quella che tocca le imprese, è d’obbligo la massima prudenza: tutte le possibilità di rinegoziazione meritano di essere percorse. I contratti vanno gestiti per un tempo-ponte che, per reggere, dovrà essere breve. Ma anche di ponti – sempre senza sarcasmo - è meglio non parlare.