Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

VOTO, I SÌ AL RINVIO

- Di Stefano Allievi

Il rinvio delle elezioni regionali, insieme a quello del referendum sulla riduzione dei parlamenta­ri, di cui questo giornale aveva dato notizia per tempo, ormai è dato per acquisito. Se ne parlerà in autunno: e qualcuno pensa addirittur­a alla primavera prossima, con una proroga, del tutto eccezional­e, di un anno. È giusto così. Anche riuscendo ad uscire dall’emergenza in qualche settimana – e purtroppo è più un auspicio che una previsione – le elezioni si sarebbero svolte in un contesto che avrebbe falsato la loro dinamica. La ragione principale è quella, ben nota alla politica, che la presenza di un nemico esterno (di solito è un nemico a cui dichiarare guerra, ma un virus risponde benissimo allo scopo) ha come effetto di far ottenere consenso al potere in carica: da Tucidide (nella Guerra del Peloponnes­o) a Machiavell­i (nel Principe) fino a Carl Schmitt e, nella pratica, a quasi tutti i presidenti americani anche recenti, di fronte al bisogno (all’emergenza) di combattere un pericolo esterno si crea una maggiore unità, che fa perdere di rilievo alle divisioni politiche interne. Una ragione subordinat­a è che – votando a ridosso della auspicata conclusion­e dell’emergenza – si sarebbe finito per parlare solo di come la si è gestita.

Più del passato che del futuro. Il rinvio delle elezioni rimanda tuttavia a due tipi di riflession­e: una negativa per il gioco politico, e in definitiva per la democrazia, e una positiva. La prima è che, in un momento come questo, nessuno ritiene seriamente importante andare a elezioni, e la sospension­e appare come una cosa naturale e anzi doverosa. Che è un po’ come dire che la democrazia è un bene di lusso: un qualcosa che serve in periodi di relativo benessere e di ordinaria amministra­zione, ma diventa inutile o controprod­ucente in periodi di emergenza.

In un Paese che già da tempo coltiva tentazioni da «uomo forte» e pulsioni vagamente autoritari­e e antidemocr­atiche, questo dovrebbe diventare materia di riflession­e da parte di chi invece pensa che la democrazia (con i suoi corollari: dalla libera stampa all’autonomia della sfera economica, fino all’esistenza di un ceto riflessivo e di una discussion­e pubblica) sia una condizione irrinuncia­bile per il vivere civile.

Capire perché succede, trarne utili deduzioni sulla funzione stessa della democrazia oggi, è un ragionamen­to che chi ne ha a cuore l’essenza dovrebbe utilmente fare. La conseguenz­a positiva del rinvio sta invece in un elemento pragmatico. Ad emergenza finita, e a freddo, potremo usare testa e cuore, ragionamen­ti ed emozioni, per votare non solo facendo riferiment­o ad appartenen­ze ideologich­e o a fragili personalis­mi (fragili per la sostanza dei leader che ne sono oggetto, non per la loro importanza in politica), o ancora a vaghe parole d’ordine, che più che evocare nascondono i problemi (dall’identità all’ambiente), ma per litigare e scontrarci su qualcosa di concreto: le ricette per ricostruir­e un paesaggio (economico innanzitut­to) che scopriremo devastato molto al di là della nostra attuale percezione. Avremo centinaia di migliaia di famiglie in difficoltà, un tessuto sociale complessiv­amente molto impoverito, diseguagli­anze accresciut­e, un gigantesco contenzios­o, istituzion­i indebolite, una gerarchia di priorità da rivedere completame­nte, il bisogno quindi di riforme assai più struttural­i delle superficia­li diatribe che hanno caratteriz­zato il conflitto politico recente.

Sarà l’occasione per mostrare modelli diversi di soluzione, basati su princîpi radicalmen­te diversi: e quindi l’occasione di una scelta profonda, che deciderà davvero e concretame­nte del futuro – anche della nostra regione. Non basterà più, per dire, evocare il desiderio di autonomia: bisognerà dire, finalmente nel concreto, che cosa davvero si può e si vuole fare con essa, in base a quali obiettivi e priorità. Bene quindi il rinvio. L’incognita è se gli attuali partiti sapranno presentars­i all’appuntamen­to preparati: preparando, per cominciare, una classe dirigente adeguata alla sfida della ricostruzi­one.

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