Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Il pm che smantellò la Mala del Brenta
Una vittima tra i magistrati Francesco Saverio Pavone, 76 anni
Coronavirus, una vittima nella magistratura, una figura che ha fatto la storia nelle inchieste contro la mafia in Veneto. È morto ieri all’ospedale di Mestre, dove era ricoverato da 15 giorni, Francesco Saverio Pavone. Smantellò la Mala del Brenta.
VENEZIA Aveva iniziato come cancelliere, e non se ne vergognava, anzi. Poi era entrato in magistratura e la sua carriera, nonostante fosse riservato e poco propenso ai riflettori, l’ha portato a diventare uno dei magistrati più conosciuti e stimati del Veneto. Competente, studioso, con una memoria di ferro e quel «marchio di fabbrica» degli interrogatori fino a notte fonda, in stanze quasi irrespirabili a causa dell’unico vero vizio che non ha mai perso: quello delle sigarette. Francesco Saverio Pavone ha combattuto sempre in prima linea, senza mai mollare, e per sconfiggerlo c’è voluto quel «maledetto» coronavirus. Pavone è morto ieri, pochi giorni prima di compiere 76 anni, nel reparto di Terapia intensiva dell’Ospedale di Mestre, dove era ricoverato dal 28 febbraio per una grave forma di polmonite, legata proprio al virus. Le sue condizioni erano apparse subito gravi e le voci di un miglioramento non erano purtroppo fondate. Anche la moglie era stata ricoverata, ma nei giorni scorsi ha superato la fase più critica ed è tornata nella loro casa di Marcon. Lascia anche le tre amate figlie.
Tarantino di nascita, Pavone aveva iniziato come cancelliere, prima in pretura, poi in tribunale, diventando infine dirigente al tribunale di Sorveglianza. Quindi a fine anni Ottanta il «salto» con il concorso in magistratura e subito le grandi inchieste. A inizio anni Novanta diventa giudice istruttore ed è lui ad avere l’intuizione di collegare una serie di reati rimasti senza colpevole e attribuirli alla Mala del Brenta. «Ero certo che ci fosse un filo che li teneva uniti - raccontò anni fa - Pian piano il mosaico si compose». Nacque l’indagine su Felice Maniero e la prima associazione mafiosa sul territorio veneto, come riconosciuto in tutte le sentenze. Ma non fu l’unica sua grande inchiesta. Si occupò anche della «banda dei giostrai», portando alla condanna 80 persone accusate di una trentina di sequestri di persona; ma anche di corruzione, con l’inchiesta sulle mazzette ad alti ufficiali della Guardia di Finanza veneziana, tra cui il colonnello Mauro Petrassi. A lungo ha militato nella Dda di Venezia, occupandosi soprattutto di narcotraffico e infine, dopo un passaggio alla Procura generale dal 2008 al 2013, era diventato procuratore capo di Belluno, dove divenne famoso il suo «scontro» con l’allora sindaco di Cortina d’Ampezzo Andrea Franceschi, indagato in vari procedimenti. Da fine 2016 era in pensione.
Inchieste delicate, che nel cuore della battaglia alla Mala del Brenta portarono ad essere sotto scorta non solo lui, ma anche i suoi cari, con le figlie adolescenti che arrivavano al liceo Bruno di Mestre su una macchina della polizia. «Sacrifici immensi per la libertà propria e dell’amata famiglia», sottolinea la giunta dell’Anm Veneta, che ricorda come anche da pensionato si fosse messo a disposizione come testimone per chi volesse conoscere i fenomeni criminali che aveva combattuto. «Franco (i suoi colleghi lo chiamavano così, ndr) Pavone era un uomo tutto d’un pezzo, costante, onesto intellettualmente - aggiunge Michele Dalla Costa, procuratore capo di Treviso, che fu uno dei pm del processo a Maniero - ma soprattutto era generoso e sempre molto vicino ai colleghi. Ricordo che quando tolsero la scorta a me e ad Antonio Fojadelli, lui prese le nostre difese e disse che allora se la sarebbe tolta anche lui». «Per me è stato un punto di riferimento per comprendere i fenomeni criminali e anche i loro risvolti sociali e antropologici - ricorda il sociologo e politico Gianfranco Bettin, con cui spesso ha duettato in convegni sulla malavita organizzata - Era tosto, agguerrito, ma umano e con un’ironia costante». Era certo un osso duro per gli avvocati, ma non c’era nessuno che non lo stimasse. «Perché era leale, quello che diceva faceva e aveva il coraggio anche di chiedere scusa e fare marcia indietro - aggiunge l’avvocato Renzo Fogliata, presidente della Camera penale veneziana - Poi era incredibile come conoscesse le sue inchieste fin nei minimi dettagli». «Studiava fino alle 5 di mattina! - lo ricorda in lacrime Cristina Casagrande, poliziotta che è stata sua assistente per 15 anni in Dda - Era un guerriero, ci ha sempre insegnato a lottare per tutto. Lo conosco da quando avevo tre anni, perché mia madre era cancelliera con lui. E’ stato come un padre».
Tanti i ricordi e gli omaggi. «Perdiamo un vero servitore dello Stato», dice Andrea Ferrazzi, senatore del Pd. «Ha dimostrato che lo Stato può vincere anche le sfide più complesse», aggiunge Roberto Ciambetti, portando il cordoglio di tutto il consiglio regionale, di cui è presidente. «E’ stato in prima fila contro le mafie, un difensore strenuo della legalità», sottolinea il vicepresidente Bruno Pigozzo. «Gli dobbiamo tanto», conclude il sindaco di Mira Marco Dori. In serata la famiglia ha fatto sapere che, passate l’emergenza e le restrizioni, ci sarà un saluto pubblico «in modo da consentire alle persona che hanno condiviso con lui un pezzo di vita e che gli sono state vicine, di partecipare al commiato».
Ciambetti
Ha dimostrato che lo Stato può vincere anche le sfide più complesse Alla famiglia il cordoglio di tutto il consiglio regionale del Veneto
Dalla Costa
Un uomo tutto d’un pezzo, onesto: quando tolsero la scorta a me e a Fojadelli, prese le nostre difese e disse che se la sarebbe tolta anche lui
Bettin
Un punto di riferimento per comprendere i fenomeni criminali e i loro risvolti sociali Era tosto, agguerrito, ma umano e con ironia