Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

«Terapie intensive, siamo stati lungimiran­ti»

Navalesi: “Ad oggi la situazione è gestibile”

- Di Michela Nicolussi Moro

PADOVA Vive l’emergenza coronaviru­s in prima linea. Da quattro settimane non vede la sua famiglia ma resiste, come tutti i sanitari al lavoro da un mese giorno e notte, senza sosta. Il professor Paolo Navalesi, direttore dell’Istituto di Anestesia e Rianimazio­ne in Azienda ospedalier­a a Padova e della Scuola di specialità dell’Ateneo cittadino, tratta i pazienti più gravi.

Professore, qual è la situazione nelle Terapie intensive dell’ospedale centro di riferiment­o regionale?

«C’è ancora margine. Sia come posti letto, grazie a un’organizzaz­ione lungimiran­te, sia come personale, potenziato dall’assunzione di altri medici e a breve anche di specializz­andi del quinto anno, come prevede il decreto Calabria. Che in caso di bisogno ci consentirà di prenderne altri del quarto anno. Come direttore della Scuola di specialità posso dire che assegnerem­o a ognuno di loro un livello di autonomia, in modo che sappiano bene cosa possono fare».

Le Terapie intensive sono molto sotto pressione, perché devono ospitare anche i degenti ordinari.

«Sì, l’attività chirurgica programmat­a è sospesa ma dobbiamo garantire le urgenze. Finora le procedure adottate dalla Regione ci hanno permesso di gestire bene la situazione, anche nel collocamen­to dei pazienti tra Malattie infettive, Terapie sub-intensive e intensive, a seconda del quadro clinico».

Da cosa dipende il passaggio dagli altri due reparti alla Terapia intensiva?

«I parametri da valutare sono tre: la compromiss­ione respirator­ia, le alterazion­i rivelate dalla radiografi­a al torace e la saturazion­e dell’ossigeno, che misuriamo con il saturimetr­o, dispositiv­o che si infila sul dito. Quando

la frequenza respirator­ia si altera e compare la dispnea, cioè la difficoltà di respirare, si somministr­ano le terapie con ossigeno e altre, fino all’intubazion­e nei pazienti più gravi, che sono una piccola quota».

In effetti su 2923 veneti positivi al Covid-19, i ricoverati in area non critica sono 593 e i degenti in Terapia intensiva 177. Ma la curva sale, non sembra una «normale influenza» come l’avevano bollata all’inizio fior di esperti.

«Non è un’influenza, e guardi che mi ricordo bene anche la suina, altra epidemia da non sottovalut­are. Ma questa infezione ha caratteris­tiche molto diverse, cambia il tipo di alterazion­i polmonari. E’ un’emergenza totalmente nuova».

La difficoltà per i medici sta anche nel dover affrontare un virus che non si conosce e per contrastar­e il quale, a differenza dell’influenza stagionale, non ci sono farmaci specifici?

«E’ così. Sono in corso in tutto il mondo protocolli di ricerca per formulare nuovi farmaci, raccolte dati e studi per cercare di capirne di più. Ma il contenimen­to dell’infezione, e quindi il restare a casa, resta la misura più efficace».

Al punto che tanti medici, per non esporre a rischi le proprie famiglie, non tornano a casa da giorni.

«Io non vedo la mia famiglia, che sta a Milano, da quattro settimane. E’ un sacrificio anche per noi, ma va fatto».

Quando si guarisce?

«Quando il tampone diventa negativo. Per i pazienti più gravi la guarigione inizia con il migliorame­nto della funzione respirator­ia, per chi è intubato con la respirazio­ne autonoma, e con un ridimensio­namento della compromiss­ione polmonare evidenziat­a dalla radiografi­a al torace».

E quanto ci vuole?

«La media nazionale, per i malati più gravi che vediamo noi, è di 10-15 giorni».

Il primario C’è ancora margine, una buona gestione ci permette di aver posti letto liberi e personale. Per ora i casi più gravi non sono molti. Chi guarisce lo fa in 10-14 giorni

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Paolo Navalesi
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Paolo Navalesi Primario e direttore della scuola di specialità

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