Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
«Divieti, Roma dia il via libera»
L’esasperazione dei sindaci: «Norme vaghe su chi può uscire e come». J’accuse di Conte (Anci): «Roma non ci consulta». E sui controlli pesa la privacy
VENEZIA La misura del corto circuito fra Roma e le regioni è nella voce ruvida, stanca, di Mario Conte, sindaco leghista di Treviso e presidente di Anci Veneto che racconta ciò che dice anche qualunque sindaco Pd. «Esce un decreto al giorno che, per di più, fa appello alla buona volontà. Ma se mi dici che posso portar fuori il cane e fare attività sportiva oltre ad andare al lavoro e spostarmi per motivi sanitari - si sfoga il primo cittadino - io potenzialmente domani mi ritrovo 86 mila trevigiani in strada. Lo scrivessero nel prossimo Dpcm che si esce solo per lavoro ed esigenze sanitarie. Punto».
Solo due giorni fa il sottosegretario all’Interno, Achille Variati, diceva: «Anche i governatori emanino ordinanze restrittive come fanno i sindaci». E i sindaci, Conte fra i primi, hanno infatti emanato ordinanze che stanno chiudendo, progressivamente, parchi, cimiteri, piste ciclabili e così via. Le norme, però, essendo comunali, non sono omogenee. E il caos, nonostante le disamine di avvocati ed esperti, è all’ordine del giorno per chi quelle norme deve farle rispettare. «Non posso impiegare tutta la polizia locale a sgombrare gli assembramenti e, per di più, a farsi sbeffeggiare» chiude, amaro, Conte. Non stupisce, quindi, che probabilmente bersagliato dai cahier de doléances dei sindaci veneti, anche il governatore Luca Zaia risponda duro: «Io non voglio neanche aprirlo questo dibattito. Il presidente campano De Luca sta avendo problemi su ogni ordinanza. Il ministro faccia una circolare che il governatore può emanare ordinanze restrittive. Queste sono polemichette su chi può e chi non può decidere. Ci mettano nelle condizioni di chiudere di più, ce lo mettano nero su bianco. Non ho certo paura di firmare provvedimenti di questo tipo, ho firmato la chiusura del Carnevale». E pare Roma si stia avviando sulla strada dello stop allo sport all’aria aperta.
La linea, per chi amministra, è sempre la stessa. In una situazione eccezionale e di forte tensione, la vaghezza della norma crea dei danni. «Ulteriori restrizioni? - prosegue Zaia - I veneti sono tedeschi. Se si dà un giro di vite lo si rispetta. Io sarei per la chiusura degli alimentari nel fine settimana e mi segnalano anche casi di persone che usano la scusa di una confezione di aspirine da acquistare in farmacia per uscire di casa. Non va bene». Fra i fronti incandescenti che necessitano di una soluzione da parte del governo centrale, c’è anche quella dei controlli. Delle scorse ore una circolare di Palazzo Chigi che chiedeva di sospendere l'invio ai Comuni delle liste di contagiati «in attesa di un confronto con l’Anci». Il problema è la norma sulla privacy. Uno scoglio non indifferente ai controlli puntuali sulla quarantena di pazienti positivi al virus in quarantena e di pazienti asintomatici o negativi ma venuti in contatto diretto con un positivo indicati come pratica fondamentale per contenere il contagio. «Ce l’hanno proposto un mese e mezzo fa di usare le celle telefoniche per controllare chi si sposta di casa spiega il governatore - ma c’è un tema di privacy, non puoi andare a indagare sui movimenti di una persona senza ipotesi di reato. I software ci sono, ce li hanno offerti, ma c’è sempre il limite della legge. Al momento la vedo veramente difficoltosa, ho provato un mese e mezzo fa».
Veneto chiama Roma, quindi. E i toni, soprattutto da parte dei sindaci, non sono concilianti. Un paio di primi cittadini del Veronese hanno dichiarato pubblicamente d’essere consapevoli di spingersi un passo oltre quel che prevede la norma ma di farlo in coscienza per l’emergenza sanitaria. «Veneto e Lombardia sono partite 15 giorni prima del resto del Paese - attacca ancora Conte il governo deve sentire queste regioni e i loro amministratori che fanno salti mortali per dar risposte ai cittadini, spostare le scadenze e mettere in smart working i dipendenti pubblici. E come presidente Anci sul Cura Italia mi auguro sia un punto di partenza e non di arrivo. Ai territori serve una terapia shock e non un’aspirina. Qui le conseguenze sono già pesantissime in termini di posti di lavoro, turismo e ricadute sociali. Nel metodo come sempre il Governo non ci ha coinvolto e ascoltato».