Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Da Padova al Garda, il fronte case di riposo
La situazione più grave a Merlara, nel Padovano: 4 decessi e 60 in isolamento. I medici: «Ospiti e parenti a rischio, massima attenzione ai protocolli».
VENEZIA Centoundici strutture e tutte potenzialmente a rischio. Sono i Centri servizi per gli anziani, le case di riposo dove vivono molti dei nostri nonni. In tutto sedicimila, molto avanti con l’età, spesso non autosufficienti e a grande rischio contagio. Deboli, già ammalati, in questi giorni di emergenza sanitaria la loro è una delle situazioni più delicate, da far temere il peggio alle famiglie che non possono essere loro vicino (a Mestre, nella comunale Santa Maria dei Battuti sono concessi solo contatti via web). Ed è proprio in questi luoghi che basta un nonnulla per far esplodere un focolaio, come è accaduto a Merlara, nel Padovano, dove a oggi si contano quattro decessi, altrettanti ricoveri e - notizia di ieri sera - l’aggravarsi di altri quattro ospiti, mentre 61 sono in isolamento. E sì la farmacia locale ha donato termometri e una psicologa è corsa dai pensionati a dare loro sostegno, ma la paura è palpabile, anche tra i sanitari.
«Le case di riposo non sono reparti ospedalieri ma in questo momento...». Non conclude la frase il primario di Medicina dell’ospedale di San Donà, nonché specializzato in Geriatria, Mauro Scanferlato: «Purtroppo il contatto ci può essere, basta poco - continua le precauzioni si applicano, mascherine e guanti, colloqui inferiori ai quindici minuti, distanza di un metro ma è lo stesso personale che può introdurre il virus». Proprio ieri, nel Rodigino, di 24 nuovi contagiati, 13 sono ospiti di due case di riposo e altri 4 sono i familiari di un operatore socio-sanitario positivo al virus. Quasi la totalità ruota, dunque, attorno a un Centro di servizi per anziani. A Colà, frazione di Lazise sul lago di Garda nel Veronese, si sono invece ammalate sette religiose ospiti della casa di riposo per suore Madre dell’Immacolata e altre tre presentano sintomi.
Un bollettino a cui vanno aggiunte due strutture nel Bassanese, una ad Alpago nel Bellunese, una a Casale sul Sile nel Trevigiano (con 31 contagiati) e una a Monselice nel Padovano. E anche la Regione cerca una strategia per limitare quella che potrebbe assumere i contorni di una tragedia. «Abbiamo scritto a tutte le realtà del territorio - spiega l’assessore regionale Manuela Lanzarin (Servizi sociali) vanno isolate le aree contagiate, non ci devono essere contatti, nemmeno con la biancheria diretta alle lavanderie, gli operatori saranno soggetti a controlli ogni due giorni come i sanitari e i positivi al tampone isolati».
A questa emergenza, purtroppo, se ne aggiunge un’altra: scarseggiano gli operatori socio-sanitari: «Per sopperire alle carenze di personale, molti operatori saranno trasferiti negli ospedali - continua l’assessore - abbiamo già attivato le cooperative sociali e il mondo del volontariato per reperire persone». La Regione sta anche valutando «nel lungo periodo», aggiunge Lanzarin - di dare la possibilità di impiegare ausiliari degli ospedali e diplomati negli istituti ex Dirigenti di comunità anche se non hanno seguito il corso obbligatorio di mille ore. «Come facciamo con i medici», conclude.
Le case di riposo sono dunque in trincea e i medici che si occupano di terza età ne sono consapevoli. «Serve estrema attenzione e i protocolli vanno rispettati tutti - dice Roberto Brugiolo, ex primario di Geriatria all’ospedale dell’Angelo di Mestre - poi, una volta applicati, siamo nelle mani di
Dio. Un errore può esserci, un assistente che sbaglia o non sa di essere contagiato: l’attenzione deve essere ai massimi livelli». Blindare le strutture in via preventiva o imporre ai dipendenti di soggiornarvi non è una strada praticabile e, in ogni caso, parrebbe, anche volendo, un’ipotesi tardiva: il coronavirus ormai è troppo diffuso.
«Vanno identificati i possibili untori - aggiunge Scanferlato - isolati, ma ci sono anche i loro parenti: è davvero complicato, al momento non esiste una soluzione che azzeri il rischio, se non il protocollo sanitario usato nei nosocomi ed esteso alle case di riposo». A meno che non si vogliano introdurre restrizioni alla Wuhan, in Cina, «ma noi per fortuna siamo una democrazia - chiosa Brugiolo - solo che bisogna essere maturi per la democrazia». Fuori di metafora, per salvare i nostri anziani che vivono in strutture protette, e che oggi ad alcuni potrebbero sembrare meno sicure delle mura di casa, tutti dobbiamo fare la nostra parte: «Non uscire», dicono all’unisono i due primari.
C’è, infine, un ultimo problema: chi lavora nelle case di riposo non deve avere comportamenti a rischio ed essere onesto se sta male o se un parente ha sintomi. «La situazione è complicatissima conclude Scanferlato - chi ha avuto contatti dovrebbe autodenunciarsi ma un dipendente a tempo determinato di una cooperativa che teme per il proprio posto di lavoro lo fa? E nelle case di riposo sono in molti in questa situazione».
Lanzarin Isolare tutte le aree contagiate, rispettare i protocolli e stiamo cercando personale aggiuntivo
Scanferlato Purtroppo il contatto ci può essere, basta poco e vanno identificati subito i contagiati