Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
«In terapia intensiva malati con meno di 45 anni»
Mestre, il primario Lazzari: «Ormai sono la metà. Spero di estubare presto i primi due»
MESTRE «All’inizio ci siamo trovati ad affrontare un primo step di pazienti anziani. Ma uno dei primi ricoverati è stato un uomo di 42 anni. Sembrava una mosca bianca. Adesso il 50% di ricoverati in terapia intensiva non ha più di 45 anni». Così il primario dell’Angelo di Mestre, Francesco Lazzari.
MESTRE Dal ricovero del primo paziente lo scorso 24 febbraio, i cinquanta medici anestesisti e gli ottanta infermieri del reparto di terapia intensiva dell’ospedale all’Angelo non hanno ancora avuto la soddisfazione di estubare uno dei degenti perché instradato sulla via della guarigione. «Anzi, mentre stiamo parlando sono state intubate al volo altre tre persone, arrivate dal pronto soccorso e dai ricoveri – spiega il primario di Anestesia e Rianimazione Francesco Lazzari - Perché a tre settimane dall’inizio dell’emergenza coronavirus, siamo ancora gestendo la prima ondata di contagiati. Estubare è un momento catartico, un punto importante e positivo per il paziente. Posso annunciare che però stiamo preparando due ammalati a respirare da soli, quella che noi chiamiamo la fase dello svezzamento».
Dopo settimane in cui i muscoli della respirazione non funzionano perché ci pensa la macchina a ventilare, avviene un po’ come quando si toglie il gesso ad una gamba: il muscolo è ipotrofico a causa della prolungata inattività e c’è bisogno della riabilitazione perché torni alla piena funzionalità. A tre settimane dallo scoppio dell’epidemia però molto è cambiato: «Inizialmente non si conosceva il paziente Covid, se non attraverso la letteratura medica dell’esperienza cinese. Ci siamo trovati ad affrontare un primo step di pazienti anziani – continua il primario – Ma uno dei primi ricoverati è stato un uomo di 42 anni, che è ora è una delle persone che prepariamo alla respirazione autonoma. Allora sembrava una mosca bianca. E invece adesso il cinquanta per cento di ricoverati in terapia intensiva non ha più di 45 anni».
Dieci in rianimazione, la metà giovani adulti. La curva di contagiati, ricoverati e morti continua a salire a dieci giorni dalla proclamazione della zona rossa in Veneto, sanzioni, denunce e hashtag #stateacasa e la domanda è se il sacrificio stia portando a qualche risultato. «Ne porta. Ma è come nella favola di Esopo della cicala e della formica – esemplifica Lazzari – La cicala canta tutta l’estate, la formica fa scorte per l’inverno: i benefici del sacrificio si vedono a distanza. I provvedimenti indicati dalla Regione servono: meno contatti ci sono tra le persone, minori possibilità ci sono di ampliamento della pandemia. Solo così non ci sarà il tristissimo strike di contagi e morti che stiamo vedendo in Lombardia. Noi abbiamo posti limitati, quattordici, elevati a sedici più gli altri attivati nell’hub di Dolo e c’è una grande collaborazione tra ospedali. Ma è fondamentale limitare al massimo il contagio».
Tre settimane senza posa per tutti, se c’è da mettere in posizione prona un paziente intubato per agevolare la ventilazione della parte bassa dei polmoni, non c’è distinzione tra medici, infermieri e primario.
C’è un po’ meno confusione che all’inizio, questo sì. «Su
Francesco Lazzari Il brutto di questa infezione è che porta quadri clinici a lungo stabili che poi all’improvviso peggiorano
mia richiesta, la direzione dell’ospedale ha deviato parte degli infermieri dalle sale operatorie: senza di loro, non potremmo fare niente – ringrazia il primario - Sono instancabili. Cioè, un po’ di stanchezza c’è e tutti speriamo che finisca presto. Il problema aggiuntivo è che questi pazienti hanno una situazione di stabilità che perdono improvvisamente e peggiorano».