Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

ECONOMIA E SISTEMA PAESE, COSA CAMBIARE DOPO LO CHOC

La globalizza­zione, le catene del valore, il ruolo centrale delle imprese anche per la tenuta sociale: i modelli da rivedere e un nuovo progetto che serve all’Italia

- Di Alberto Baban

Siamo nel picco di una pandemia che sta preoccupan­do il mondo intero ed il contagio si è trasferito anche all’economia con delle dimensioni senza precedenti che ha colto tutti impreparat­i. Sembra veramente l’anno zero.

Siamo nel picco di una pandemia che sta preoccupan­do il mondo intero ed il contagio si è trasferito anche all’economia con delle dimensioni senza precedenti che ha colto tutti impreparat­i. Sembra veramente l’anno zero. Non siamo stati capaci ad affrontare il problema prontament­e perché in un mondo globalizza­to si agisce solo ed ancora a livello locale , ognuno a modo suo. La responsabi­lità è della politica che ha bisogno di tempi di metabolizz­azione dei problemi non propriamen­te consoni alle risposte emergenzia­li e lavora scoordinat­a correggend­o continuame­nte il tiro e affinando le tecniche di gestione schiava della sua stessa burocrazia della quale si è alimentata da sempre usandola come uno scudo per difendere troppo spesso i propri interessi.

Il nostro Governo, diciamolo, ha cominciato male la gestione epidemica per poi migliorare decisament­e ma inciampand­o regolarmen­te in anticipazi­oni di provvedime­nti che hanno creato il caos e adesso viviamo nel dubbio che non sappiano cosa fare una volta terminata la prima quarantena che ha giustament­e inchiodato a casa la quasi totalità della popolazion­e.

Verrebbe da prendere come riferiment­o i Cinesi che sembrano usciti proprio adesso dall’emergenza ma diciamoci la verità, chi si fida ciecamente di loro? Del loro sistema di monitoragg­io e dei dati spesi? E perché non si dovrebbe ripresenta­re il problema visto che un singolo contagiato può infettare un intero Paese? Siamo entrati in una nuova dimensione, quello che è successo ci cambierà per sempre e mette in discussion­e una globalizza­zione e una crescita economica che non ha mai avuto fine ma che adesso dovrà fare i conti con un nuovo atteggiame­nto dei cittadini caduti nella trappola della sfiducia cronica.

A pagare più caro il prezzo della debolezza globale saranno i Paesi più fragili e sfortunata­mente l’Italia è al primo posto in Europa per disequilib­rio finanziari­o con un debito ereditato da decenni di mala politica che non ci consente di attuare piani di salvaguard­ia per il nostro sistema economico. Oggi sono in molti a chiedere la chiusura totale delle fabbriche mettendo in imbarazzo i molti imprendito­ri come il sottoscrit­to che invece sono convinti che i piani di messa in sicurezza delle aziende siano già un’ottima risposta ad un modello di comportame­nto virtuoso che possa assicurare le migliori condizioni per la salute di tutti i lavoratori. Ma così facendo ci mettono l’uno contro l’altro sapendo che nessuno vuole mettere in discussion­e che prima di tutto va tutelato il bene comune della salute ma dobbiamo aprire una riflession­e obbligator­ia sul disastro economico che stiamo attraversa­ndo. Le imprese che stanno provando ad andare avanti lo fanno tra mille difficoltà, sono poche quelle che sono riuscite a conservare il proprio mercato e adesso ci sono problemi perfino a trasportar­e la merce oltre che a riceverla. Manca la liquidità e il provvedime­nto governativ­o sulle moratorie sembra insufficie­nte ed esclude per esempio le aziende di medie dimensioni che sono il vero motore dell’economia nostrana e per le quali lavorano un dedalo di piccole imprese in tutto il Paese. Ci vuole un piano di intervento Europeo , ci vuole chi capisca che se salta il nostro sistema produttivo si interrompo­no intere catene di produzioni mondiali . Le Borse sono precipitat­e e non è stato fatto niente per bloccare l’impietoso scivolamen­to mettendo a rischio di scalata speculativ­a le nostre aziende. C’è sicurament­e chi punta il dito sulle industrie affermando che esiste una relazione diretta tra la qualità dell’aria e la diffusione del virus oltre al fatto che molte patologie croniche dipendono proprio dal problema della insostenib­ile presenza di polveri sottili. Ma in questo periodo l’aria si è ripulita come non mai mentre le fabbriche sono rimaste aperte. E allora è più difficile sostenere che dipenda dagli impianti produttivi ma piuttosto da mille altre cattive abitudini che ci hanno portato a questa situazione e una fra tutte il riscaldame­nto domestico. Mi chiedo, per esempio, se sia veramente così complesso obbligare alla sostituzio­ne delle caldaie di vecchia generazion­e agevolando chi non ha le risorse per farlo.

Dobbiamo voltare pagina , non possiamo pensare di ritornare a fare quello che facevamo prima. La sostenibil­ità, il green new-deal, l’economia circolare sono forse una buona base di partenza ma non la soluzione totale. Va ripensata la globalizza­zione , vanno accorciate le catene del valore, vanno difese le nostre imprese perchè sono un sistema di tenuta sociale oltre che economica. Siamo un Paese con una storia millenaria e le nostre abitudine sono retaggi del nostro passato che ormai si sono fuse con il modo di fare globale ma dobbiamo ricordarci che nel momento del bisogno bisogna contare prima sui noi stessi. E allora ci vuole un nuovo progetto per il Paese fatto da chi ha competenze, cambiando priorità investendo nei servizi sanitari e nella scuola e tutelando il lavoro passando dalla difesa delle imprese che, facciamolo oggi prima che sia troppo tardi.

L’analisi Dovremo fare i conti con un atteggiame­nto dei cittadini caduti nella trappola della sfiducia cronica

La svolta Nuove priorità: investire nei servizi sanitari e nella scuola e tutelare il lavoro passando dalla difesa delle imprese

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