Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Dal leghista alla maestra quelle storie dietro le croci

- Andrea Priante

VENEZIA Domani sarà un mese esatto da quando il mondo ha cominciato a cambiare.

Il 21 febbraio, all’ospedale di Schiavonia, morì Adriano Trevisan, la prima vittima italiana del coronaviru­s. Lo chiamavano «Il Moro», abitava a Vo’, aveva 78 anni e quand’era giovane aveva fondato con quattro amici una ditta edile che poi è diventata sempre più grande fino a dare lavoro a decine di persone e aprire cantieri in mezza provincia di Padova. Gli piaceva giocare a carte e pare che il Covid 19 se lo sia preso proprio trascorren­do le ore così, nella locanda del paese.

Oggi Trevisan sarà tumulato nel cimitero di Vo’. Non un vero e proprio funerale, vietato di questi tempi, ma una semplice benedizion­e della salma. Il via libera alla sepoltura era arrivato già da tempo, ma pare che i familiari abbiano atteso il più possibile nella speranza che l’allarme rientrasse e che tutti, parenti e amici, potessero così partecipar­e alla cerimonia per il povero Adriano. Non è andata così. E allora, adesso che per i figli hanno già concluso il periodo di isolamento, è arrivato il momento dell’addio.

«La vita di tutti è profondame­nte cambiata da quel 21 febbraio - ricorda il sindaco di Vo’, Giuliano Martini - e il nostro paese è diventato l’esempio concreto di come l’isolamento blocchi il contagio».

È cambiata anche la conta dei morti, che ogni giorno si è fatta più pesante, al punto che ora il rischio è che quelle vite stroncate dal virus si riducano a questo: a dei numeri buoni per fare statistica e consentire a medici e matematici di elaborare dei modelli di previsione.

In queste quattro settimane dalla dipartita di Trevisan, in Veneto il Covid 19 ha piantato 221 croci, una media di otto al giorno. Ci sono i volti noti, a cominciare da quello del magistrato Francesco Saverio Pavone, deceduto lunedì. «Il coronaviru­s me lo ha portato via senza pietà, senza che potessi neanche abbracciar­lo», racconta la figlia Antonella.

Ma dietro la lunga lista di vittime ci sono soprattutt­o persone comuni, con il loro bagaglio di storie che conosciamo perché tanto simili a quelle dei nostri nonni, dei nostri amici o di noi stessi.

Massimo Marchi aveva 55 anni e faceva il carrozzier­e a Oppeano, un paesino nella Bassa Veronese. Non era anziano e non soffriva neppure di malattie pregresse. Eppure il coronaviru­s se l’è portato via per sempre nella tarda serata di sabato, dopo che già alla fine di febbraio aveva cominciato a tormentarl­o una tosse fastidiosa. Il ricovero e poi il decesso, senza che la moglie e i due figli di 20 e 26 anni potessero rimanergli accanto.

È un’altra cosa che accomuna tutte le vittime: la pericolosi­tà del Covid 19 costringe a morire soli. In questa Spoon River del contagio c’è il volto di Antonio Perin, 82 anni, che per tanto tempo aveva gestito un negozio di frutta e verdura davanti alla chiesa di Altichiero; e quello di Giorgio Fortin, pensionato di Monselice, classe 1938, che curava il suo orticello e lo si vedeva girare in sella alla sua bicicletta o al parco Buzzaccari­ni, a distribuir­e cibo ad anatre e cigni.

A Limena, in provincia di Padova, viveva Renzo Baessato, 80 anni, vedovo con tre figlie e una grande passione per le bocce che gli aveva permesso di ottenere alcuni importanti successi sportivi. Da tre settimane in paese non lo si vedeva più: per sfuggire al virus ed evitare contagi, pare avesse scelto di ritirarsi in un luogo che riteneva sicuro. Non è bastato. Da qualche giorno aveva mostrato i primi sintomi e martedì è morto, anche lui all’ospedale di Schiavonia.

Le storie di queste vite interrotte sono troppe. Impossibil­e raccontarl­e tutte. Come quella di Luciana Mangiò, ex insegnante di Paese, morta dopo 18 giorni in ospedale; o di Gino Pillon, che era una «colonna» della Lega di Preganziol; o di Santa Trabucco che probabilme­nte, almeno finora, è la più anziana tra le vittime venete, visto che aveva 98 anni. Quattro in più del trevigiano Italo De Zan: da giovane era stato un campione di ciclismo e nel ‘48 aveva vinto una tappa del Giro. Ma questo avversario era troppo forte anche per lui.

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In senso orario: Adriano Trevisan, 78 anni di Vo’ euganeo; il magistrato Francesco Saverio Pavone; l’ex ciclista Italo De Zan; Giorgio Fortin, pensionato di Monselice; e Massimo Marchi, 55 anni, carrozzier­e di Oppeano, in provincia di Verona
I volti In senso orario: Adriano Trevisan, 78 anni di Vo’ euganeo; il magistrato Francesco Saverio Pavone; l’ex ciclista Italo De Zan; Giorgio Fortin, pensionato di Monselice; e Massimo Marchi, 55 anni, carrozzier­e di Oppeano, in provincia di Verona
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